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«Uno choc, ma non è, e non sarà, un caso unico»

«Uno choc, ma non è, e non sarà, un caso unico»Parigi, sindacati all’apertura del processo a France Télécom – Afp

La fabbrica dei suicidi Dove hanno portato la privatizzazione e l’entrata in un mondo concorrenziale. Le risposte del sindacalista Claude Debons

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 18 giugno 2019

Il processo in corso, dove sono stati interrogati i manager di France Télécom e hanno testimoniato degli ex dipendenti, ha messo in evidenza la transizione che è avvenuta in un’impresa pubblica, con dipendenti funzionari, verso il mondo della concorrenza. Una transizione che a France Télécom è stata di particolare crudeltà. Ma si può dire che questo processo chiude un’epoca, cioè sia l’ultima tappa di un mondo ormai finito? Oppure si può pensare che possa aprire una nuova fase di consapevolezza, che getti le basi di un’emancipazione in un mondo del lavoro travolto dal precariato e dall’incertezza del futuro a livello individuale? Abbiamo rivolto questa domanda a Claude Debons, ex dirigente sindacale, che ha combattuto molte battaglie alla Sncf, la Società nazionale delle ferrovie francesi, una delle principali aziende pubbliche del paese.

«Il processo mette in luce il doppio processo di cambiamento a cui sono state sottoposte le imprese: la privatizzazione e l’entrata in un mondo concorrenziale, con l’obbligo della competitività. Nel caso di France Télécom, c’è stata una direzione, un management che hanno agito in modo particolarmente brutale. Ma non è e non sarà un caso unico. Alla Sncf è in corso un eguale processo di cambiamento: il passaggio dallo statuto di funzionari all’apertura alla concorrenza, la nuova competitività che ingiunge ai dipendenti di entrare nel nuovo mondo della mondializzazione. Ci sarà anche qui uno choc culturale, con un aumento del tempo di lavoro, pressioni sui salari ecc. Fine del vecchio mondo, nuovo mondo? L’apertura alla concorrenza continua, i lavoratori sembrano non avere altra scelta che adattarsi e sarà brutale».

Il movimento dei gilet gialli ha già interiorizzato questa situazione nuova? Nel senso che i gilet gialli si sono rivolti principalmente allo stato – «Macron dimissioni» è stato il principale slogan – mentre non c’è stata una protesta contro il padronato. Chiediamo a Debons cosa ne pensa.

«Nel movimento dei gilet gialli la maggioranza sono lavoratori di piccole imprese, commercianti, artigiani. Sono stati poco presenti i lavoratori delle grandi imprese, che fanno ancora riferimento ai sindacati. Il padronato non è stato il bersaglio, perché questi lavoratori hanno già interiorizzato il peso della concorrenza, il fatto che se non si è competitivi si perde il mercato. Molti sono lavoratori del subappalto, che subiscono il peso della concorrenza internazionale. Per questo, si sono rivolti allo stato invece che al padronato. Va considerato anche che la coscienza di classe ha fatto passi indietro da anni. Lo stato ha risposto sullo stesso piano, con un’indennità di attività pagata dal bilancio pubblico, non dai padroni. Non c’è stata nessuna decisione sull’aumento del salario minimo».

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