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Università di Pavia, la protesta degli ingegneri contro i tagli e per salvare la ricerca

Università di Pavia, la protesta degli ingegneri contro i tagli e per salvare la ricerca

StopVqr Viaggio nella Stalingrado StopVqr. Undici dipartimenti all’università di Pavia hanno sottoscritto una mozione contro la Valutazione della ricerca (VqR). A Ingegneria adesioni al 42%, tra le più alte in Italia. La clamorosa protesta: «Stanno destrutturando l’università pubblica»

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 12 marzo 2016

Undici dipartimenti all’università di Pavia hanno sottoscritto una mozione contro la Valutazione della ricerca (VqR), considerata come uno strumento che aggrava le disparità nella distribuzione delle risorse tra gli atenei del nord e del Sud, nonché i tagli che hanno sprofondato l’università in una notte senza fine. Protagonisti della protesta sono i dipartimenti scientifici, da biologia a scienze del farmaco e matematica. La Stalingrado «NoVqR» può essere considerata il dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione. Sui quasi 70 docenti di tutte le fasce, 30 docenti (il 42%) ha aderito alla clamorosa protesta. È una delle percentuali più alte a livello nazionale dove, in mancanza di comunicazioni ufficiali, la protesta oscilla tra il 5% e il 30%.

Quello di ingegneria a Pavia è un dipartimento che funziona grazie ai fondi ricavati da progetti europei e i rapporti con le aziende. Il bilancio annuale è di sette milioni di euro. Il 2 febbraio scorso i docenti hanno votato a maggioranza una mozione che ha rinnovato l’impegno a un’astensione tanto inedita, quanto significativa della drammaticità della situazione. «Questa non è una protesta improvvisata, nè velleitaria – sostiene Paolo Magni, docente di modelli di sistemi biologici e bioinformatica – non danneggia gli studenti, ma si rivolge al governo, ai rettori della Crui e all’Anvur che segue le procedure della valutazione». Sebbene i numeri siano calati al fotofinish – la chiusura delle procedure è prevista per lunedì 14 marzo – il fronte della protesta ha tenuto duro, resistendo alle voci di caricamento forzato delle pubblicazioni dei docenti in sciopero nel sistema informatico.

Il 4 marzo il Rettore pavese Fabio Rugge ha scritto ai docenti denunciando il rischio di «una perdita di risorse indispensabili» causata dalla protesta. «Non sono gli astensionisti gli attentatori dell’integrità degli atenei – hanno risposto i docenti in un comunicato – L’attentatore è chi sta da tempo destrutturando il sistema universitario pubblico e gode dell’appoggio, anziché della fiera opposizione, di gran parte dei rettori». «In dipartimento c’è stato un comportamento molto corretto – commenta Magni – È l’unica forma di protesta sostenibile oggi, fare un passo indietro avrebbe significato lasciare che le cose vadano in una direzione insostenibile».

Tuttavia, al momento la protesta non sembra avere ottenuto risultati: la Crui ha messo la testa sotto la sabbia, il governo finge che vada tutto per il meglio e ha puntato allo sfilacciamento della resistenza. «I rettori hanno perso un’occasione unica per farsi sentire dal ministero dell’Economia e di quello dell’università. L’opposizione alla Vqr è un discorso politico e culturale che contava su un’astensione al 30/40 per cento nel paese – continua Magni – Sono stati mesi pesanti e difficili, anche a livello personale, per i dubbi e le domande su cosa fare. Poi i numeri si sono ridotti. Resta la consapevolezza della necessità di interrompere una deriva decennale che sta massacrando l’università e ci impedisce di lavorare. Uno dei nostri problemi è l’individualismo che spinge alle divisioni. Per un po’ ci siamo riuniti, ma temo la divisione nel fronte».

«Oltre alle rivendicazioni economiche contro il blocco degli stipendi, la protesta è contro la riduzione delle risorse iniziata con la riforma Gelmini – aggiunge Francesco Benzi, docente di ingegneria industriale e presidente del consiglio didattico – In queste condizioni tra cinque anni Ingegneria a Pavia sarà costretta a ridurre la sua offerta formativa, nonostante sia un’ottima scuola. La ricerca si concentrerà in pochi atenei e verrà meno la continuità culturale. Si sta creando un “gap” che non potrà essere colmato raddoppiando le risorse tra qualche anno. Nel frattempo i miei ricercatori se ne saranno andati all’estero per mancanza di opportunità oggi».

Dossier: #Salviamolaricerca

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