Renzi ha annunciato 2,5 miliardi alla ricerca. Niente di nuovo. La cifra presentata ieri allo «science park» dell’azienda di biotecnologia Irbm di Pomezia, nel laboratorio che ha isolato il virus Ebola, è la quota di cofinanziamento italiano previsto nell’ambito del programma europeo «Horizon 2020»: 2,5 miliardi di fondi nazionali e dieci dall’Europa fino al 2020. La cifra sembra anomala, considerato lo stato comatoso a cui la ricerca e l’università italiana sono state costrette dal taglio di 1,1 miliardi di euro di Tremonti e mai più da allora rifinanziato.

La stessa cifra è stata prospettata dal ministro dell’università Stefania Giannini il 23 febbraio scorso: sarebbe contenuta nel «piano nazionale per la ricerca» (PnR). Annunciato un anno fa, il PnR è una scommessa che punta a prendere 8,8 miliardi dal programma Ue Horizon, 2,2 dai Por regionali, il resto va conquistato con i progetti sui quali l’Italia ha dato pessima prova di sé. Questi soldi andranno alle aree Agrifood, Aerospazio, Design Creatività, Made in Italy, Chimica Verde o «Smart Communities», energia, mobilità e trasporti. Settori con immediata ricaduta industriale, non ricerca di base, e tanto meno umanistica.

Story-telling prossimo venturo

Dopo due richiami al PnR, nel giro di una settimana, è ormai chiaro che lo «story-telling» renziano ha scelto questo tema per rimuovere e non affrontare la clamorosa protesta dei docenti strutturati nelle università contro la Valutazione della qualità della ricerca» (VqR), i salari bassi e bloccati da almeno un quinquennio, oltre alla pratica diffusa dello «sciopero alla rovescia» escogitata dal Coordinamento nazionale dei ricercatori precari per affermare che la ricerca è un lavoro in tutto il mondo, tranne in Italia. I ricercatori non riescono nemmeno a farsi riconoscere il sussidio di disoccupazione «Dis-Coll», pur versando i loro contributi da parasubordinati alla gestione separata dell’Inps.

Ricerca e finanza
I 2,5 miliardi attesteranno nelle prossime settimane la realtà del racconto del presidente del Consiglio centrato sulla competizione globale, in particolare nel settore della farmaceutica e delle biotecnologie dove il tasso di finanziarizzazione è altissimo: «L’Italia – ha detto – è un paese con il coltello tra i denti che può immaginare futuro». Affine a questa immagine bellicista è la personale idea della ricerca formulata dal premier: «C’è bisogno di avere fame – ha detto citando l’ever-green Steve Jobs -Vale per tutti, anche per un ricercatore che sa di accettare il rischio della sconfitta. Immaginate un progetto di ricerca a dieci anni, che poi alla fine dalla mattina alla sera chiude. O fare un tratto e poi lasciare ad altri colleghi, farsi dare una mano. È una metafora bellissima di un Paese, di una comunità».

Università in serie B
Quel ricercatore era precario e ha dovuto lasciare ad altri la sua impresa, perché ha trovato un posto all’estero dove almeno lo pagano. O ha dovuto cambiare mestiere. Perché in Italia la ricerca è un lavoro gratuito. La disoccupazione se la pagano solo i signori in attesa di un concorso ad hoc..In questo continuo depistaggio cognitivo resta la realtà: il governo ha stanziato 100 milioni per due anni e assumerà 861 ricercatori, mentre ne servirebbero 2400 all’anno per i prossimi otto (sostiene il fisico Giorgio Parisi). Un’idea di ricerca Renzi però la possiede quando ha stanziato 1,5 miliardi di euro in dieci anni allo Human Technopole di Milano e solo briciole agli atenei e enti di ricerca. La direzione è quella di pochi poli di ricerca iper-finanziati, mentre l’università sarà ridotta alla «serie B» della formazione di una forza-lavoro poco qualificata e con nessuna finalità che non sia quella del just-in-time.

Dossier: #Salviamolaricerca