Nelle ultime settimane si è assistito ad un fuoco incrociato tra i colossi della Silicon Valley e la Commissione europea in merito alla conformità delle piattaforme hi-tech con il Digital Markets Act (Dma), uno dei recenti regolamenti approvati dall’Unione europea per controllare lo strapotere delle grandi aziende tecnologiche e l’utilizzo di dati personali degli utenti europei, approvato nel 2022 ed entrato in vigore l’anno scorso.

A fine marzo di quest’anno, la Commissione ha avviato cinque indagini di «non conformità» verso Apple, Google e Meta, per valutare il loro processo di adeguamento alle normative, e proprio in questi ultimi giorni sono arrivate le prime dichiarazioni. Per primo è arrivato un comunicato della Commissione nel quale si accusa Apple di violare il regolamento per la gestione dell’App Store, in quanto impedisce agli sviluppatori di app di indirizzare liberamente gli utenti verso altri possibili canali di acquisto. «Apple impedisce completamente all’utente di decidere dove andare. Ciò sarebbe fondamentale per garantire che gli sviluppatori di app siano meno dipendenti dagli app store dei gatekeeper e che i consumatori siano a conoscenza delle offerte migliori», ha commentato la responsabile europea per la concorrenza Margrethe Vestager.

Il colosso di Cupertino ha tempo fino al 2025 per adeguarsi alle richieste, e rischia come previsto dal regolamento una multa pari al 10% del fatturato globale annuo: circa 38 miliardi di dollari.

A seguire a stretto giro è stata la volta di Meta, l’impresa di Mark Zuckerberg, accusata dall’Ue di violare il Dma a causa del modello pubblicitario pay or consent adottato dal novembre 2023 su Facebook e Instagram, che consente all’utente di pagare un abbonamento per evitare la pubblicità. Secondo la Commissione la scelta binaria è una falsa scelta «che costringe gli utenti ad acconsentire alla combinazione dei loro dati personali». Per adeguari alla normativa, in particolare rispetto all’articolo 5 sugli obblighi dei gatekeeper, Meta dovrebbe consentire a tutti gli utenti la libera gestione dei propri dati personali senza richiedere un pagamento. Anche in questo caso non sono mancate le dichiarazioni di Vestager, che sottolinea l’importanza di «dare ai cittadini il potere di  prendere controllo dei propri dati personali e scegliere un’esperienza meno personalizzata in termini pubblicitari». L’azienda, oltre a difendere la propria policy come rispettosa del Dma, si rende disponibile ad un dialogo costruttivo con la Commissione per portare a termine l’indagine. In questo caso il 10% di fatturato ammonterebbe a 13 miliardi, con possibilità di raddoppio della penale al 20% in caso di ripetute violazioni. Anche Microsoft sarebbe tra i sanzionati, avendo violato le norme sulla concorrenza con la scelta di vincolare l’app di videoconferenze Teams all’utilizzo di altri propri prodotti come Office 365 e Microsoft 365.

Alle accuse non mancano le risposte. Sempre alla fine di giugno, Apple ha dichiarato di voler bloccare negli stati europei l’introduzione dei nuovi servizi basati su intelligenza artificiale che altrove sono stati applicati per migliorare l’assistente Siri. La motivazione, a detta dell’azienda, è che queste innovazioni potrebbero non essere compatibili con tutti i limiti imposti da Bruxelles, ma l’attacco viene considerato ancora da Vestiger come «una sorprendente dichiarazione aperta di comportamento anticoncorrenziale». D’altronde non esiste nessuna norma che possa costringere Apple a fornire le stesse funzionalità sia nell’Ue che negli Stati uniti o viceversa, quindi l’azienda potrà mantenere questa posizione. Oltre a rappresentare un’escalation nello scontro, la mossa di Apple espone la lama doppio taglio delle regolamentazioni Ue: in un mercato digitale e internazionale, una normativa che ha valenza territoriale e limitata agli utenti di una parte di un continente, non solo non pone un vero vincolo alle decisioni dei colossi tech, ma rischia anche di far diventare l’Europa un mercato secondario rispetto alle possibilità circolanti nel resto del mondo. Se da alcuni le regolamentazioni europee sono viste come modello da esportare anche altrove per limitare l’eccessivo potere dell’hi-tech, in altri destano preoccupazioni di un possibile sviluppo tecnologico differenziato che non va a minare davvero l’ascesa di questi colossi.