Suono al campanello del castello di Prinzendorf, residenza di Hermann Nitsch – artista tra i più controversi della scena internazionale con la sua pittura azionista e i riti della durata di più giorni legati a mitologie antiche, riti religiosi e profani, tradizioni popolari ma anche alla vita – castello che sorge sui colli della cittadina omonima nelle campagne della Bassa Austria a nord di Vienna.
Nell’aia – che ricorda quella di Novecento di Bertolucci – gironzolano galline, oche e pavoni, poi incontro un gatto e due cani.

VIVE CON TANTI ANIMALI colui che è odiato da molte persone perché «brutale macellaio di maiali e pecore» includendo nelle azioni i riti di macellazione e lavorazione della carne come vuole la tradizione contadina. Un fatto che molta gente preferisce escludere oggi dalla propria consapevolezza in una vita sempre più austera e sterile, ma che non esita a guardare nei reportage più terribili dai campi di guerra insanguinati. Ecco, è questa la denuncia di Nitsch: la nostra vita piena di false trasparenze, falsi accordi, false armonie per coprire aggressività e violenze rimosse. Ma andiamo per ordine: salire le scale al primo piano del castello (acquistato dalla prima moglie Beate, morta in un incidente nel 1977), dove sono ubicati ufficio, spazi abitati e spazi adibiti a galleria di quadri e oggetti d’arte – tra cui cinque giganteschi gong orientali che assieme alle cinque grandi campane nell’aia fanno parte dell’orchestra che accompagna musicalmente le azioni drammatiche di quella che si può chiamare una novella tragedia greca – salire quelle scale è già tuffarsi nel mondo nitschiano: le pareti ricoperte con manifesti di mostre e azioni in cui impera il rosso sangue. Sul pianerottolo mi attende Hermann Nitsch, vestito rigorosamente di nero, barba lunga bianca e volto sorridente. L’intervista è breve, preferisce parlare durante la visita guidata attraverso gli spazi del castello, la cappella in cui custodisce oggetti di scena sacri per le azioni, la sala con gigantografie a colori dell’azione più recente, lo Zwei-Tages-Spiel (Azione di due giorni) del 31 luglio-1 agosto 2004; e ancora la sala in fondo all’aia, le ex stalle, con una decina di quadri giganteschi creati durante le azioni nel corso di dieci anni.

POI AL SECONDO PIANO l’enorme atelier, dove vedo in anteprima le tele gigantesche create con spruzzi di colore azzurro, verde, nero e soprattutto un luminosissimo giallo limone che irradia luce gioiosa. A fianco, tele ricoperte di nero in cui non manca mai la maglietta bianca appesa a forma di croce. «Esprime il sudore e le pene sofferte dall’artista durante l’atto di pittura», dice Nitsch. Riguardo alle critiche sull’uso di animali e violenza, sottolinea che ogni tragedia parla di violenza e morte, e gli animali da lui utilizzati sono già destinati al macello «al termine mangiamo la carne, noi teatralizziamo la macellazione». Le origini dei suoi Rinnbilder, quadri dal colore colato, risultano dalla pittura di azione: «è la forma originaria dell’azione e iscrive sulla tela il processo estatico vissuto dall’artista in quel momento; poi mi sono allontanato dalla tela per calare nella realtà questo processo estatico e scambiare il colore con le persone, gli attori silenti, nel senso che eseguono precisamente una partitura preparata in ogni particolare e dettaglio da me». Dapprima annullare la forma e la sostanza pittorica col colore, il passo successivo era l’uso di carne e sangue. «Tutte le azioni sono nate da progetti teatrali intesi come ‘festa dell’esistenza’ in cui si celebra il nostro essere, dove la spiritualità ha un ruolo fondamentale. Mi appoggio alle religioni ma non a una sola, bensì ruoto attorno a tutti i riti», dice Nitsch per poi accentuare che il suo interesse centrale non è mai stata la politica, anzi, «mi sento vicino all’anarchia filosofica e rifiuto ogni istituzione di potere centralizzata. Destra o sinistra? Ognuna porta con sé solo grandi tragedie, per me il futuro è nell’anarchia, ma le persone non sono ancora mature».

NELL’AZIONE DI SEI GIORNI, sogno della sua vita realizzatosi nel ‘98 al castello di Prinzendorf, sfilano anche carri armati – «un carro armato non è solo simbolo ma è la violenza», dice. Inizialmente Nitsch aveva rifiutato di far filmare le azioni dichiarandosi «purista dell’azione» a favore di un’interazione diretta con il pubblico. «Certo, amavo i film di Buñuel, grandi film azionisti, ma ero contrario alle sceneggiature, soprattutto al venir meno della dimensione olfattiva, nelle mie azioni voglio che si senta l’odore del sangue e della carne. Feci fare solo foto, poi Peter Kasperak, nell’84, si offrì di documentare l’azione di tre giorni e accettai».

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L’intervista risale al 5 novembre del 2005 ed è stata ospitata su Alias.