Cordone sanitario addio, i reazionari riscrivono l’Europa
Austria Tutto come previsto. Un po’ peggio del previsto. Con la vittoria dell’ultradestra in Austria un altro tassello dell’Europa nera va al suo posto. Seguendo uno schema ricorrente di sconcertante precisione. […]
Austria Tutto come previsto. Un po’ peggio del previsto. Con la vittoria dell’ultradestra in Austria un altro tassello dell’Europa nera va al suo posto. Seguendo uno schema ricorrente di sconcertante precisione. […]
Tutto come previsto. Un po’ peggio del previsto. Con la vittoria dell’ultradestra in Austria un altro tassello dell’Europa nera va al suo posto. Seguendo uno schema ricorrente di sconcertante precisione. Il centro conservatore, per fronteggiare la concorrenza della destra più radicale, ne assume linguaggi, tematiche e posizioni politiche. Le legittima, le normalizza, le assimila. E perde rovinosamente a favore dell’avversario affannosamente imitato. Perfino con l’Fpö, tra i più indigeribili partiti nazionalisti e xenofobi del Vecchio Continente. A quel punto il centro conservatore si è talmente allontanato dal terreno democratico e sociale e tanto intimamente avvicinato al suo concorrente da rendere la famosa “barriera tagliafuoco” stesa intorno alla destra radicale un fatto puramente formale. E una questione di tempo. Del resto in Austria i popolari allora guidati da Sebastian Kurz avevano già governato con l’Fpö e Herbert Kickl, il loro attuale leader, occupava in quel governo, poi travolto da un miserabile scandalo, il posto inquietante di ministro dell’interno.
Nell’Europa contemporanea l’Austria è una provincia piuttosto marginale, ma i processi politici che vi si svolgono sono comunque gli stessi, e nella forma più nitida, che riguardano l’intero continente. L’esclusione istituzionale (ma non politica) del neofascismo è resa strutturalmente fragile dall’enorme diffusione di narrazioni che miscelano ideologie complottiste e identitarie con temi del più classico conservatorismo a base di “legge e ordine” e di “interesse nazionale”. Narrazioni che incontrano il favore di un gran numero di cittadini europei chiamati a pagare, in un modo o nell’altro, i costi delle crisi di diversa natura che investono ripetutamente l’Unione. Narrazioni che si prestano assai bene anche alle ambizioni di un capitalismo postdemocratico, alla Elon Musk per intendersi, che non si limita alla volontà di accumulare senza limiti di sorta ma pretende di imporre una propria visione antropologica e un proprio modello di società. Non si tratta più solo di successi elettorali dei partiti di estrema destra dettati dalla contingenza e delle manovre politiche che si sviluppano intorno a questi fenomeni, ma di un vero e proprio radicamento sociale e identitario, le cui basi materiali e la cui fisionomia restano tuttavia piuttosto indistinte e aleatorie.
Il tassello austriaco completa quella cintura di nazionalismi autoritari, ormai sempre più ritagliati sul modello di “democrazia illiberale” brevettato da Victor Orban, che occupa e presidia le frontiere orientali della Ue e che non potrà non pesare sulla natura dei rapporti tra l’Europa e la Russia. Ma come dimostrano i successi della destra radicale nell’Europa occidentale (Francia, Germania, Olanda, Italia) e settentrionale (Finlandia, Svezia) non si tratta più di una particolarità dei paesi postsocialisti e della scarsa familiarità di quelle popolazioni con lo stato di diritto, ma di uno smottamento generale degli equilibri europei.
La mappa politica dell’Europa è cambiata rispetto a quella tradizionalmente segnata dalla contrapposizione tra europeisti e antieuropeisti cui eravamo abituati. Nel campo europeista si dava la contraddizione, spesso assai aspra come ai tempi della crisi greca, tra i falchi dell’ortodossia liberale, strenui difensori della rendita finanziaria e i sostenitori di un’Europa politica dotata di strumenti sociali e solidaristici. Con però un punto di contatto intorno alla difesa dei diritti civili e dei principi fondamentali dello stato di diritto su cui poggiava l’alleanza, a dire il vero tutt’altro che equilibrata, tra socialisti, verdi, conservatori e liberali.
Dall’altra parte, soprattutto ad Est, agivano governi e forze politiche impegnati in una sorta di exit strisciante (non disponendo della forza e del caparbio avventurismo postimperiale britannico), volto a ostacolare in ogni modo possibile l’influenza dell’Unione europea sulle principali tematiche giuridico-politiche. Il corso ideologicamente conservatore e politicamente autoritario imboccato da questi paesi respingeva qualunque appunto o richiesta di garanzie democratiche da parte della Ue con una stentorea affermazione di “sovranità”. A dire il vero più chiassosa, ma decisamente meno tagliente di quell’ “interesse nazionale” in nome del quale i cosiddetti “frugali” del nord difendevano i loro crediti e le loro rendite. I sovranisti erano allora più impegnati individualmente, o riuniti in alleanze di affinità come il gruppo di Visegrad, a proteggersi dall’Unione europea che a volerla riconfigurare a propria immagine e somiglianza.
Solo nel momento in cui le destre estreme sono riuscite ad acquisire un peso così consistente da Est a Ovest, da Nord a Sud il progetto di un uso suprematista, politicamente autoritario, culturalmente tradizionalista e internazionalmente muscolare dell’Europa ha cominciato a prendere forma in una sorta di supernazionalismo europeo che si riflette sugli equilibri parlamentari e sulla partita per la Commissione. Un nazionalismo continentale incardinato sulla blindatura dei confini, sul rifiuto dell’immigrazione, sull’ostracismo verso ogni presenza o influenza culturale ritenuta esogena, su un tradizionalismo opportunamente reinventato per “normalizzare” le forme di vita e sul disciplinamento sociale.
Questo europeismo reazionario viene così ad affiancarsi a quello neoliberista e a quello, per così dire, politico-sociale fortemente sostenuto dai movimenti e blandamente dalle sinistre parlamentari. A ogni livello delle istituzioni europee il confronto e lo scontro tra questi tre europeismi si manifesterà ripetutamente. Il cosiddetto “cordone sanitario” che fino ad oggi esclude l’estrema destra dalla partecipazione diretta al governo dell’Unione (su cui comunque esercita un potere grazie a diversi governi nazionali) si sfilaccia, e quando l’europeismo neoliberale dovesse incontrare nelle politiche sociali e ambientali della Ue una limitazione eccessiva della propria libertà di azione, si strapperà definitivamente. È allora che l’Europa democratica e antiliberista dei movimenti dovrà sfoderare le sue armi, se ancora qualcuna ne ha conservata.
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