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Una strategia per non tornare alla war on drugs

Fuoriluogo La rubrica settimanale a cura di Fuoriluogo.
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 2 novembre 2022

Il dibattito che si è sviluppato dopo la Conferenza Nazionale sulle Dipendenze e la stesura del Piano d’Azione Nazionale sulle Dipendenze (PAND) ripropone una domanda: è ancora possibile fare politica sulle droghe nel nostro Paese?

Da decenni promuoviamo iniziative politiche e culturali a tutto campo. Come rete di associazioni della società civile, abbiamo elaborato due proposte di legge sulla depenalizzazione di tutte le condotte legate all’uso di droghe e sulla legalizzazione della cannabis, organizzato due conferenze autoconvocate, promosso e vinto il ricorso sulla incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi, messo a punto una proposta per attuare in forma partecipata i LEA/RdD. Come Forum Droghe abbiamo partecipato attivamente alla raccolta di firme per il Referendum sulla cannabis.

Ma ci troviamo ancora con la legge Iervolino-Vassalli centrata sul sistema penale.
Quando la Ministra Dadone con delega alle politiche sulle droghe, dopo 12 anni di latitanza dei governi, decise di organizzare la Conferenza Nazionale sulle Dipendenze, ricostituimmo la rete per la riforma delle politiche sulle droghe e decidemmo di partecipare attivamente. Aprimmo una negoziazione con la Ministra, ponendo in primo luogo l’esigenza di un cambio della legge penale, e riuscimmo a far inserire tra i tavoli di discussione, la Riduzione del Danno, il riconoscimento delle Persone che Usano Droghe (PUD) e lo spostamento dell’asse dell’azione penale verso le misure alternative limitando il ricorso alla detenzione.

La Conferenza si concluse con importanti impegni su queste aree tematiche pur mantenendo diverse criticità. Successivamente abbiamo partecipato attivamente alla stesura del Piano d’Azione Nazionale sulle Dipendenze, con l’impegno di garantire la sua funzione di strumento attuativo dei contenuti emersi dalla Conferenza.

Ma dopo la caduta del governo, sono state introdotte alcune modifiche sostanziali alla parte innovativa del PAND, su richiesta non ben chiarita delle Regioni, interrompendo anche il dialogo con la nostra rete. In ogni caso la Ministra non ha adottato un decreto ministeriale ma ha inviato il testo ufficiale del PAND alla Conferenza Stato-Regioni per la sua approvazione. E non è un caso che alcune Regioni di centro-destra, iniziano a muoversi per impedirne l’approvazione criticando duramente la Riduzione del Danno, la sua integrazione nel sistema pubblico e il riconoscimento dei diritti alle PUD, riproponendo un rafforzamento del modello fallimentare della «guerra alla droga».

E le recenti iniziative legislative del Ministro dell’Interno per criminalizzare i rave party rappresentano un primo segnale inquietante del nuovo governo di destra.
Che fare in questo quadro politico sfavorevole? Quali azioni mettere in campo per non perdere tutto il lavoro svolto dalle nostre reti nella Conferenza e nel PAND, anche considerando il monito recente dell’ONU sulla violazione dei diritti nel nostro Paese? In attesa di un segnale delle forze politiche progressiste, si ripresenta l’esigenza di individuare i soggetti politici e istituzionali con i quali condividere tale strategia che aprirebbe un nuovo scenario favorevole per rilanciare un cambio delle politiche sulle droghe. Ne indico alcuni:

– La rete italiana delle città per innovare le politiche sulle droghe che rappresenta oggi un soggetto politico importante per questi obiettivi nella prospettiva del governo e regolazione sociale del fenomeno.
– Le Regioni di centro-sinistra che potrebbero condividere una linea comune nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni per approvare il PAND e predisporre gli Atti di Indirizzo attuativi.
– La organizzazione di un primo gruppo di parlamentari che condividono la prospettiva del cambio sostanziale delle politiche sulle droghe.

(Il testo del PAND è disponibile su fuoriluogo.it)

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