Alle 5.30 del mattino del 16 luglio 1945, nel deserto di Jornada del Muerto, circa un’ora e mezzo d’auto a nord di Alamogordo, un bagliore improvviso illuminò le ultime ombre della notte anticipando di mezz’ora l’alba.

Il chiarore che «illuminò il cielo come il sole» venne visto a più di duecento chilometri di distanza da diversi testimoni, mentre un pilota militare che stava viaggiando a tremila metri di quota sopra Albuquerque raccontò che la sua cabina si illuminò come se il Sole, quella mattina, avesse deciso di sorgere da sud e non più da est. Comunicando l’accaduto alla torre di controllo di Albuquerque, il comando si limitò a rispondere al pilota di non volare verso sud.

POCO DOPO, UN COMUNICATO ufficiale emanato dalla base aerea di Alamogordo informava la stampa e la popolazione che «un deposito di munizioni contenente una notevole quantità di esplosivi ad alto potenziale e articoli pirotecnici è esploso, ma non vi è stata alcun ferito o perdita di vite umane». Solo dopo il 6 agosto, successivamente al lancio della prima bomba nucleare su Hiroshima, venne rivelata la vera natura di quell’insolita esplosione che segnò l’entrata ufficiale dell’intera umanità nell’era atomica.

Da allora, Trinity, il nome del test segreto condotto quel 16 luglio, divenne sinonimo di distruzione, convenientemente associato alla famosa frase pronunciata da Robert Oppenheimer: «Sono diventato Morte, il frantumatore dei mondi».

Fu lo stesso Oppenheimer a scegliere il nome dell’esperimento ispirandosi a un poema settecentesco di John Donne. Nel 1962, il fisico statunitense affermò di non sapere con certezza perché avesse scelto Trinity, «ma sapevo quali pensieri mi passassero per la mente. C’era una poesia di John Donne, scritta poco prima della sua morte, che conoscevo e amavo».

IL LAVORO IN QUESTIONE era Inno a Dio, mio Dio, nella mia malattia e, come aggiunse Oppenheimer, anche se quel componimento «non conteneva alcun riferimento alla Trinità, un altro poema devozionale, più conosciuto (il Sonetto XIV, ndr), si apre con queste parole: “Demolisci il mio cuore, Dio in tre persone!”»

Forse il nome Trinity, oltre che al Sonetto XIV, fu ispirato anche dalla Trinità induista di Brahma, Vishnu e Shiva rispettivamente il Creatore, il Preservatore e il Distruttore. Oppenheimer aveva letto la Bhagavad Gita in sanscrito e nella sua mitologia trovò molte assonanze con il suo lavoro a Los Alamos. Krishna, la divinità che convince Arjuna a compiere il suo dovere di guerriero uccidendo anche amici e parenti, era un avatar di Vishnu, la trasmutazione della divinità che Robert potrebbe aver visto come trasposizione in chiave religiosa della trasmutazione fisica degli elementi nella fissione nucleare.

Le parole pronunciate a coronamento del successo dell’esperimento e probabilmente scelte con cura nei giorni precedenti, erano tratte proprio dal testo sacro nella traduzione fatta nel 1929 da Arthur W. Ryder, professore di sanscrito a Berkeley con cui Robert Oppenheimer aveva imparato la lingua indiana. Ryder aveva tradotto la parola kalah con morte, anziché tempo, come era resa nella maggior parte delle trasposizioni (da qui la frase di Oppenheimer, che molti considerano un’errata traduzione della Gita).

OGGI IL SITO DI TRINITY è aperto ai turisti due volte l’anno, ma gli scienziati possono visitarlo anche nei periodi di chiusura per condurre esperimenti e misurazioni di radioattività residua. Non che ci sia molto da vedere: a parte la semplice stele piramidale posta proprio sul punto dove Gadget rilasciò i suoi 25 chilotoni di potenza e la McDonald House, dove il nucleo di plutonio venne assemblato, non sono molti i siti visitabili. La trinitite, il materiale vetroso formatosi dalla fusione del suolo a causa del calore sprigionatosi nei pressi dell’esplosione, è ancora oggi oggetto di studio: l’analisi spettrografica gamma ha rivelato presenza di elementi prodotti dal decadimento radioattivo (cesio-137, americio-241, Bario-133, Cobalto-60, Europio-152, 154 e 155, Stronzio-90 e tracce di plutonio-239 e 241) che possono dare un’indicazione della potenza della bomba e degli elementi emessi dalla fissione dell’uranio e del plutonio (oggi una pietruzza di trinitite grande in media tra i tre e i quattro centimetri, ha una radioattività pari a circa 0,00877 microsievert/h o 75 microsievert/anno, pari a quella assorbita in un viaggio di andata e ritorno in aereo da Milano a New York).

L’ULTIMO GIORNO della nostra permanenza, il militare che ci fa da guida (il sito fa parte del White Sands Missile Rande ed è proprietà del Dipartimento della difesa) si ferma in un punto apparentemente insignificante a circa dieci chilometri dal Punto Zero. «Qui sorgeva il bunker sud» ci dice. Scendiamo e calpestiamo il terreno dove Robert Oppenheimer e altri scienziati e tecnici, al riparo in una casamatta, osservarono l’esplosione. Enrico Fermi, che dopo aver preso il Nobel per la fisica fuggì dall’Italia fascista per proteggere la moglie ebrea collaborando al Progetto Manhattan, fece il famoso esperimento per stimare la potenza dell’esplosione. Lasciò cadere dei pezzi di carta prima, durante e dopo il passaggio dell’onda d’urto stimando, grazie allo spostamento dei foglietti, in dieci chilotoni la potenza rilasciata da Gadget.

DISCUTIAMO sulla sfuggente figura di Oppenheimer e sul suo coinvolgimento morale nel doppio bombardamento nucleare sul Giappone. Il 16 giugno 1945, a un mese esatto dal Trinity Test, Oppenheimer scriveva al presidente Truman: «Ci ha chiesto di commentare l’uso iniziale della nuova arma (…) Le opinioni dei nostri colleghi scienziati non sono unanimi: si va dalla proposta di una dimostrazione puramente tecnica a quello dell’applicazione militare meglio progettata per indurre alla resa. Per coloro che propugnano un approccio puramente tecnico l’idea prevalente è quella di mettere al bando l’uso delle armi atomiche, temendo che, se usassimo la bomba la nostra posizione nei futuri negoziati verrebbe pregiudicata. Altri, invece, sottolineano l’opportunità di salvare vite americane invocando l’uso militare immediato della bomba. Credono che tale uso migliorerà le prospettive di una pace internazionale, in quanto gli Stati sarebbero maggiormente interessati alla prevenzione della guerra piuttosto che all’eliminazione delle bombe nucleare. Ci troviamo più vicini a questi ultimi punti di vista; non possiamo proporre alcuna dimostrazione tecnica che possa porre fine alla guerra; non vediamo alcuna alternativa all’uso militare diretto».

OPPENHEIMER NON SCONFESSÒ mai la sua idea anche di fronte alle traversie morali che lo afflissero dopo l’agosto 1945. Nonostante ammise che «i fisici hanno conosciuto il peccato», morì nel 1967 convinto che la bomba nucleare aveva salvato più vite di quante ne aveva mietute.
Si potrebbe affermare che le ambigue prese di posizione che il fisico statunitense prese dopo Hiroshima e Nagasaki furono frutto del suo purismo scientifico: «Se sei uno scienziato, devi credere che sia un bene trovare come funziona il mondo» spiegò, e se «vedi qualcosa che tecnicamente ti solletica, vai avanti a ricercare e a trovare una soluzione e solo dopo che hai trovato la soluzione discuti cosa fare con quello che hai scoperto. Questo è quanto è accaduto con la bomba atomica».