Una manovra draghiana, tra tagli e occasioni perse
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Una manovra draghiana, tra tagli e occasioni perse

Scenari Il governo non ha voluto affrontare i problemi strutturali dell’economia italiana. Al di là della roboante propaganda, ha evitato di chiedere sacrifici a chi poteva farli

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 17 ottobre 2024

«Più continuità che sorprese». Questa è la reazione a caldo di fronte alla legge di bilancio 2025 del governo Meloni. Le parziali informazioni fornite dai ministri indicano che siamo davanti ad una manovra «alla Draghi», che peserà per 30 miliardi nel 2025; 35 nel 2026 e 40 nel 2027, e si prefigge l’obiettivo di ridurre il famigerato rapporto deficit/Pil al 3,3% nel 2025, al 2,8% nel 2026 e al 2,6% nel 2027 per rispettare le nuove regole fiscali europee. Dato che è impossibile valutare in poco spazio tutte le misure contenute nella legge di bilancio, è meglio concentrarsi sugli interventi più rilevanti che ben caratterizzano la politica economica del governo. Una possibile nota positiva è che non dovrebbero esserci tagli selvaggi alla sanità. Il governo dichiara di destinare 3,7 miliardi per l’assunzione di circa 30mila medici e infermieri e per il rinnovo dei contratti in sanità nel prossimo triennio.

Ma sono cifre dubbie che restano in attesa di conferma. Le coperture provengono principalmente da un anticipo di 3,5 miliardi sulle future imposte chieste alle banche. Nessun sacrificio per il sistema bancario come affermato dal ministro Giorgetti ma una semplice partita a giro: il governo chiede liquidità invece di tassare gli extra-profitti ottenuti negli ultimi anni grazie alla politica monetaria della Bce. Si è persa un’occasione per un’imposta che poteva essere ulteriormente rafforzata dalla tassazione degli extra-profitti dalle imprese del settore bellico, in primis Leonardo.

A DIFFERENZA della sanità, gli altri ministeri saranno sottoposti a tagli lineari del 5% della spesa. Tagliare indiscriminatamente la spesa pubblica non è mai una scelta oculata. Per esempio, ci saranno gravi conseguenze per l’istruzione, l’università e la ricerca scientifica come indicato dalla lettera sottoscritta da ben 78 Società Scientifiche.

Il governo tenta di stimolare la natalità a suon di bonus: quello per gli asili nido è affiancato da un nuovo bonus nascite di mille euro, per genitori con Isee non superiore a 40mila euro. Meglio di nulla, ma il problema della natalità merita di essere risolto con interventi strutturali che prevedano, ad esempio, il potenziamento degli asili pubblici. Inoltre, è necessario ridurre la precarietà del mercato del lavoro che influisce negativamente sulle decisioni di maternità, come documentato da una ricerca sugli effetti del Jobs Act. Purtroppo, le decisioni del governo vanno nella direzione opposta, quella a favore delle imprese, come mostrato dagli interventi a sostegno dei fringe benefits contenuti in manovra.

Circa il 60% delle risorse dalla manovra sono impiegate per rendere strutturali il taglio del cuneo fiscale per chi guadagna fino a 35mila euro e l’Irpef a tre aliquote, con benefici per i redditi medio-bassi. Il taglio del cuneo prevede un decalage fino a 40mila euro, mentre l’aliquota del secondo scaglione potrebbe scendere dal 35% al 33% se il concordato preventivo fornirà risorse sufficienti.

QUESTI INTERVENTI sono una toppa già sdrucita per la perdita di potere d’acquisto subita dai lavoratori negli ultimi anni, aggravata dal fiscal drag dato che gli importi degli scaglioni Irpef non sono mai aumentati. In particolare, il taglio del cuneo fiscale è un sussidio mascherato alle imprese che possono placidamente attendere il rinnovo dei contratti di lavoro a spese del bilancio pubblico. Per difendere i redditi dei lavoratori sarebbe stato più efficace introdurre un salario minimo indicizzato.

Anche se la premier Meloni afferma che la legge di bilancio non introduce nuove tasse, ci sarà un taglio delle detrazioni Irpef per i contribuenti a reddito medio-alto, oltre al succitato fiscal drag. Il governo avrebbe potuto reperire nuove risorse correggendo la regressività del sistema fiscale italiano che avvantaggia il 7% dei contribuenti con il reddito più alto.

Una ricerca recente a cui chi scrive ha contribuito mostra che aumentare la tassazione dei redditi da capitale e/o introdurre una patrimoniale sul 7% più ricco degli italiani avrebbe permesso di finanziare interamente la manovra, garantendo un gettito di 36 miliardi di euro.

Questa riforma fiscale permetterebbe di ridurre le disuguaglianze di reddito e ricchezza, generando le risorse per la ricerca, gli investimenti pubblici e le politiche industriali necessarie a decarbonizzare la nostra economia e rilanciare la crescita della produttività e del Pil in una fase calante del ciclo.

La legge di bilancio mostra che il governo Meloni non ha voluto e non vuole affrontare i problemi strutturali dell’economia italiana. Al di là della roboante propaganda, preferisce galleggiare, evitando di chiedere sacrifici a chi ha realizzato extra-profitti o paga ingiustamente meno tasse.

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