Una culla per i Pro-life
Inchiesta Sono le associazioni di stampo cattolico fondamentalista a finanziare in tutta Italia quelle che una volta erano chiamate «ruote degli esposti». Ma la privacy non viene affatto tutelata
Inchiesta Sono le associazioni di stampo cattolico fondamentalista a finanziare in tutta Italia quelle che una volta erano chiamate «ruote degli esposti». Ma la privacy non viene affatto tutelata
Il Ventennio fascista aveva voluto l’abolizione del parto in anonimato, perché la famiglia, possibilmente numerosa, avrebbe fatto grande la Patria. Così niente ruote degli esposti presenti nei conventi, nate con lo scopo di evitare abbandoni per strada e favorire affidamenti sicuri e protetti. Oggi si chiamano «culle per la vita» e garantiscono sia per il neonato che per la madre l’anonimato, aspetti messi in dubbio in questi giorni in riferimento al caso di Enea, affidato al Mangiagalli di Milano.
IN ITALIA LE CULLE per la vita sono ritornate nel 1992 per volere del Movimento per la Vita (Mpv), l’associazione di stampo cattolico nota per le sue campagne contro aborto ed eutanasia fra tutte, «per la vita» a prescindere da tutto, anche dalla vita delle donne e dalle scelte dei singoli. Dopo la prima installata a Casale Monferrato, il Mpv ne ha finanziate in tutta Italia, da nord a sud: spesso con fondi propri, in altre occasioni in accordo con l’ospedale con i finanziamenti pubblici dei comuni di riferimento. Non tutte si trovano all’interno di un presidio ospedaliero, molte infatti sono nelle sedi del Movimento per la Vita che ha 19 federazioni regionali, oppure nei Centri per la Vita (i Cav) che sono in tutto 350, più degli ospedali dove è possibile praticare un’interruzione di gravidanza. Solo in Lombardia le culle per la vita a stampo cattolico sono sei su undici. «Dobbiamo riflettere sul non raro rifiuto dei bambini buttati via appena nati», ha commentato la presidente di Mpv, Marina Casini, sul caso di Enea, associando poi «la moltitudine di bambini a cui è impedito nascere».
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Aborto in Italia, tutti i dati di una fotografia sfocataIN TOTALE DI CULLE ce ne sono circa 50 in tutta Italia e almeno trenta sono frutto dell’impegno del Movimento per la Vita, senza contare quelle che hanno sede in parrocchie e confraternite e in cui non è esplicitamente indicato il Mpv. Una rete ampia che ha lasciato fuori le poche iniziative non religiose e associazioni laiche. Tra queste in testa c’è il progetto «Ninna oh» (progetto di associazione Francesca Nava e del network Kpmg) che ne ha sette, di cui cinque donate. Proprio quella del Mangiagalli, che oggi rientra sotto la giurisdizione di «Ninna oh», è stata voluta nel 2007 dall’associazione «Venti Moderati», sostenuta dalla giunta Moratti e da Carlo Tognoli, parlamentare di area socialista, e presidente della Fondazione Irccs Ospedale del Mangiagalli.
UN’ALTRA ASSOCIAZIONE ufficialmente non di stampo cattolico è «Amici dei Bambini» (AiBi). Nata nel 1983, è emanazione però della sua stessa fondazione, promossa e istituita da «La Pietra Scartata», associazione di fedeli cattolici che sostiene «l’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo la dimensione propria del sacramento matrimoniale, vissuta nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali». Ha installato una culla in Lombardia, a San Giuliano Milanese.
AIBI HA LE SUE SEDI all’interno di parrocchie e negli anni si è schierata contro le adozioni per le coppie omosessuali. Peggio ha fatto l’associazione organizzando nel 2013, insieme al Movimento per la Vita e alla Comunità Papa Giovanni XXIII, il corso di aggiornamento per operatori socio sanitari dal titolo «Un’alternativa all’aborto: l’adozione!». Un progetto che con il sostegno del Dipartimento per la famiglia era riuscito a ottenere un milione di euro di fondi per una campagna di comunicazione, anche negli ospedali, per «aiutare le gestanti in difficoltà a valutare tutte le alternative possibili all’aborto per un sostegno alla maternità».
È LA PROPAGANDA che portano avanti i Cav, molti dei quali spingono per non fare abortire le donne preferendo l’adozione o aiuti economici (che vanno a coprire solo i primi 18 mesi di vita), come il Progetto Gemma. Centro per la Vita è presente anche al Mangiagalli e pubblicizzato proprio da Fabio Mosca, direttore della Neonatologia e Terapia intensiva neonatale, come aiuto al ripensamento da parte delle madri.
RIGUARDO AD ENEA, non è stata di certo rispettata la privacy di madre e neonato, considerato che a pubblicizzata è stato proprio il Policlinico con un comunicato stampa. Le numerose interviste di Mosca poi hanno fatto trapelare i dettagli: la lettera della madre e l’aspetto del neonato. Questo è il terzo caso al Mangiagalli, ma anche gli altri due erano stati trattati allo stesso modo: dichiarazioni ai giornali e molti, troppi dettagli sui neonati e le madri. Non sono mancate poi parole rivolte direttamente alla madre affinché cambi idea.
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Macerata, il convegno «prolife» all’universitàNEGLI ANNI l’utilizzo delle culle per la vita è stato assai limitato, si contano non più di dieci casi. In Italia i neonati che non vengono riconosciuti alla nascita, la cui madre quindi opta per un parto anonimo, sono circa 400 secondo una ricerca condotta dalla Società Italiana di Neonatologia, di cui tra l’altro Fabio Mosca è presidente.
DIVERSE SONO le regioni che non dispongono di culle per la vita: Basilicata, Molise, Sardegna e Friuli Venezia Giulia. Ed è proprio su questo che negli anni si sono battute Movimento per la Vita, in testa, e Amici dei Bambini, che ha apertamente sostenuto nel 2015 una proposta di legge per diffonderle il più possibile. Il ddl a firma Gian Luigi Gigli, eletto con la lista civica Monti, prevedeva «l’istituzione e la disciplina di appositi “punti di accoglienza” dei neonati abbandonati, in collaborazione con associazioni aventi finalità di solidarietà sociale», e una massiccia campagna informativa attraverso spot sulla Rai. Ma non se n’è fatto nulla.
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