Antonio Gramsci, in una nota dei Quaderni del carcere, scriveva, a proposito del rapporto fra intellettuali e popolo, che i primi sanno senza sentire, senza comprendere e senza essere appassionati e, per questo, non riescono a cogliere le «passioni elementari» del popolo e così non sono in grado di collocarle in un quadro storico di riferimento ben preciso al fine di dar vita, quindi, ad una superiore concezione del mondo; e il comunista sardo concludeva la nota nel modo seguente: «non si fa politica-storia senza questa passione, cioè senza questa connessione sentimentale tra intellettuali e popolo-nazione».

SI PUÒ AFFERMARE che il momento cruciale di questa riflessione gramsciana sia la «connessione sentimentale» che, al di là di ogni ormai anacronistica, almeno nei confronti dell’elaborazione gramsciana, riduzione populista, è la modalità con cui si pone la necessità, per l’intellettuale, di comprendere i bisogni, la storia e la mentalità di un popolo riconoscendosi come parte integrante di quello stesso popolo. È stato questo l’atteggiamento di Pasolini? La linea di ricerca lungo la quale si muovono i saggi raccolti nel bel volume curato da Paolo Desogus ed intitolato Il Gramsci di Pasolini. Lingua, letteratura e ideologia (Marsilio, pp. 268, euro 24) sembra proprio essere quella della «connessione sentimentale» intorno a quel «nesso di problemi» (è il titolo della nota 1 del Quaderno 21) che costituisce il cuore stesso del porsi poetico rispetto al mondo e, in specie, rispetto al mondo dei subalterni: ossia quanto Gramsci c’è in Pasolini?

Il volume raccoglie gli interventi, a cui si aggiungono altri scritti, delle e dei partecipanti alle due giornate di studi svoltesi a Casarsa nello scorso novembre nell’ambito delle iniziative in occasione del centesimo anniversario della nascita del poeta friulano, significativamente intitolate ’Con te e contro te’, il Gramsci di Pasolini. Presentato dalla Presidente del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa, Flavia Leonarduzzi, prefato dal curatore a cui si deve anche l’Introduzione dal titolo che, se è consentito il linguaggio colloquiale, dice tutto, Pasolini e Gramsci: un’ostinata fedeltà, le varie parti in cui si divide il volume propongono saggi di F. Giasi, A. d’Orsi, S. Gensini, Gian L. Picconi, P. Voza, M. Gatto, L. Durante, S. De Laude, M. Mastrodonato, M. Locantore, G. D’Elia, A. Gibellini.

In un’intervista del 1963 rilasciata ad Alberto Arbasino, Pasolini faceva presente che «l’unico antenato spirituale che conta è Marx» a cui va aggiunto «il suo dolce, irto, leopardiano figlio, Gramsci». E che avesse un particolare rapporto, tanto contraddittorio («con te e contro te») quanto costruttivo con il «leopardiano figlio» di Marx, Pasolini lo conferma più volte dicendo di averlo letto già nel ’46-47 e poi, dal biennio successivo, nel corso del quale cominciarono a vedere la luce i primi volumi tematici dei Quaderni del carcere, verificò che le idee di Gramsci coincidevano con le sue e quella gramsciana «fu un’influenza formativa fondamentale»; formativa anche dal punto di vista politico, ricorda Lea Durante, intendendo la politica «come rovello, mescolamento, critica dell’altro». E un altro maestro, per stessa ed esplicita ammissione di Pasolini, va ricordato, cioè quel Gianfranco Contini che gli insegnò, ricorda ancora Durante, «lo stile, la lingua, la vocazione assoluta verso l’assoluto della parola».

MA QUANDO SI AFFRONTA l’ostinata fedeltà di Pasolini e Gramsci è quasi giocoforza che il discorso cada sulle Ceneri di Gramsci. Nel volume, a parte i saggi che sono dedicati al poemetto (Mastrodonato e anche D’Elia), quei versi sembrano percorrere carsicamente la maggior parte dei contributi. Pasolini scriveva, rivolgendosi a Gramsci: «Tra speranza/e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato/per caso in questa magra serra, innanzi/alla tua tomba, al tuo spirito restato/quaggiù tra questi liberi/…E, da questo paese da cui non ebbe posa/la tua tensione, sento quale torto/ – qui nella quiete delle tombe – e insieme/quale ragione- nell’inquieta sorte/nostra – tu avessi stilando le supreme/pagine nei giorni del tuo assassinio».

MA POSSONO ESSERE letti questi versi, che scavano così profondamente nella nostra umana natura spesso aliena dalla commozione e, qualche volta, anche dal sincero appassionamento, per non parlare del distacco da quella particolarissima passione che è la politica, senza tenere a mente la foto che ritrae il poeta assorto davanti all’urna che raccoglie le ceneri del grande comunista? Ben fa d’Orsi a operare un esplicito riferimento a quello scatto nel quale il poeta è in piedi, «le mani nelle tasche di un impermeabile bianco, alla Humphrey Bogart». E sembra pronunciare i versi cruciali proprio in quel momento: «Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere/con te e contro te; con te nel cuore, /in luce, contro te nelle buie viscere».
Lo scandalo del borghese che sente di essere schierato dalla parte del proletario pur non appartenendo a quella classe sociale. Lo scandalo di sentirsi dalla parte delle lotte degli sfruttati per la loro emancipazione e di vivere in una condizione che non è la condizione sociale degli sfruttati lo spingono alla conclusione: «…Ma io, con cuore cosciente /di chi soltanto nella storia ha vita, /potrò mai più con pura passione operare, /se so che la nostra storia è finita?».

Ogni autrice e ogni autore offre, dal punto di vista della propria competenza, un decisivo contributo per sciogliere il «nesso di problemi» che accomuna Gramsci e Pasolini. Gensini chiarisce in che modo la questione della lingua in Pasolini venga affrontata utilizzando gli occhiali di Gramsci; Picconi pone in sinergia sistemi espressivi e nazionale-popolare; su quest’ultimo concetto fornisce lumi Voza.
Gatto si sofferma sul Pasolini demologo e sui suoi studi relativi ai canti popolari nei quali l’orma di Gramsci appare chiara così come è messa in evidenza, da Durante, l’interazione fra riflessione gramsciana e poetica pasoliniana nel pensiero marxista. Sul legame che Pasolini ha individuato fra Gramsci e Contini riflette De Laude mentre Mastrodonato mette in luce quanto il dantismo del Pasolini della Divina Mimesis sia riconducibile ad un dialogo costante con Gramsci. Locantore lettrice delle Ceneri pone in primo piano quanto di politico e di morale venga prodotto dall’incontro di Gramsci e Pasolini.

NELLA SEZIONE Incidenze poetiche D’Elia e Gibellini propongono una lettura del testo pasoliniano tale da conferirgli una forza tutta particolare, quasi al livello di quella prassi tanto analizzata dal Gramsci dei Quaderni. In apertura del volume i saggi di Giasi e d’Orsi forniscono le coordinate per leggere nel modo più accurato possibile l’ostinata fedeltà di Gramsci e Pasolini di cui scrive Desogus nell’Introduzione.
«No, il comunismo non oscurerà la bellezza e la grazia!», scriveva il poeta di Casarsa commentando le gramsciane Lettere dal carcere, riprendendo le parole di un articolo di Gramsci del 14 giugno 1919, quasi dieci anni dopo le Ceneri consegnando allo scritto postumo Volgar’eloquio il perché avesse fatta propria quell’esclamazione: voleva dire che Gramsci era per la sopravvivenza delle culture dei subalterni e desiderava che esse entrassero in contatto con quella grande cultura borghese «in cui lui stesso, come Engels, si era formato».