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Una colonia in più, un sogno in meno: via l’aeroporto di Palestina

Una colonia in più, un sogno in meno: via l’aeroporto di PalestinaPellegrini e turisti all'aeroporto di Gerusalemme nel 1960. – Collezione privata della Famiglia Al Qotub

Territori occupati Israele approva il piano per un insediamento di 9mila case a Qalandiya dove sorge lo scalo chiuso nella seconda Intifada rivendicato dai palestinesi

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 26 novembre 2021
Michele Giorgio GERUSALEMME

Peter O’Toole è atterrato e decollato innumerevoli volte dall’aeroporto di Qalandiya, alla periferia nord di Gerusalemme, durante le riprese di Lawrence d’Arabia nel deserto giordano. E papa Paolo VI voleva usarlo per la sua visita storica in Terra santa prima dell’occupazione israeliana nel 1967 di Gerusalemme Est e della Cisgiordania. Fu costretto a rinunciare al suo proposito: la pista era troppo corta per il suo Boeing. A Qalandiya, nato come aeroporto britannico durante il Mandato e trasformato dalla Giordania nello scalo di Gerusalemme tra il 1948 e il 1967, ha preso forma quella che è diventata la Royal Jordanian Airlines. Al suo apice negli anni ‘60 l’aeroporto ha avuto una media di 100.000 passeggeri all’anno diretti o provenienti da 15 capitali tra cui Roma, Baghdad, Beirut, Kuwait city e Il Cairo. Un traffico che riempiva di turisti gli hotel della città santa. Poi, dopo l’occupazione, è cominciata la lenta agonia dello scalo, usato poco anche da Israele (solo per qualche volo interno) e chiuso «temporaneamente» nel 2000 con l’inizio della seconda Intifada palestinese. Infine, è stato separato dalla Cisgiordania con la costruzione del Muro israeliano. Questo scorcio di 2021 segna la morte definitiva dell’aeroporto, diventato un deposito di autobus e con il terminal che cade a pezzi.

Mercoledì la Commissione per la pianificazione e l’edilizia del Consiglio comunale di Gerusalemme ha dato il via libera alla costruzione di una colonia, in aggiunta a quella di Atarot, che fagociterà l’area dell’aeroporto. Il 6 dicembre, sotto gli auspici del ministero israeliano delle finanze, saranno esaminati i progetti per 9.000 alloggi per coloni messi da parte dai passati governi dello Stato ebraico per ragioni di opportunità internazionale. L’insediamento coloniale in programma è un altro colpo basso alle rivendicazioni palestinesi e alla possibilità che la pista di Qalandiya potesse diventare un giorno l’aeroporto dello Stato di Palestina. Va contro persino all’«Accordo del Secolo» di Donald Trump, l’alleato più stretto mai avuto da Israele alla Casa Bianca, che vuole lo scalo destinato al settore turistico palestinese. «Gerusalemme è una capitale viva (di Israele), che respira e cresce. Il progetto fornirà migliaia di unità abitative tanto necessarie», ha commentato con soddisfazione il vicesindaco di Gerusalemme Fleur Hassan-Nahoum. La maggior parte delle nuove case è destinata a religiosi ebrei ultraortodossi ma i media israeliani sostengono che alcune centinaia andranno anche a palestinesi, in particolare a quelli che lavorano nell’area industriale di Atarot.

La decisione era nell’aria da tempo e nei giorni scorsi una delegazione di diplomatici dell’Unione europea presso l’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha visitato l’area dove sorgerà la gigantesca colonia israeliana nel territorio occupato di Gerusalemme Est. Il rappresentante dell’Ue Sven Kuhn von Burgsdorff ha denunciato la mossa della Commissione edilizia di Gerusalemme che «mette in pericolo la soluzione a Due Stati» e separa Gerusalemme dalla Cisgiordania. Nelle scorse settimane 12 Stati europei, tra i quali l’Italia, avevano condannato la colonizzazione israeliana e ribadito lo status internazionale di Gerusalemme indicato dalle risoluzioni dell’Onu. Anche l’Amministrazione Biden si proclama contro l’espansione delle colonie israeliane. Ma alle prese di posizione di europei e statunitensi non seguono mai passi concreti. Vanno ad aggiungersi senza far rumore alle cataste di dichiarazioni, condanne e critiche lette o ascoltate nei 54 anni trascorsi dal 1967.

Israele lo sa. E anche il governo in carica, di Naftali Bennett, che pure include nella sua coalizione un partito arabo islamista e ciò che resta del centrosinistra israeliano, va avanti per la sua strada senza temere stop di alcun tipo. Tra un paio d’anni, quando le ruspe entreranno concretamente in azione, dell’aeroporto di Qalandiya resterà in piedi solo il terminal. Ristrutturato e rimesso a nuovo potrebbe ospitare una scuola religiosa o più probabilmente diventare un hotel o forse un museo. Di sicuro su di esso non sventolerà la bandiera palestinese.

 

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