Uscito a dicembre nelle sale dell’arcipelago, il lungometraggio animato giapponese Totto-chan: The Little Girl at the Window ha vinto lo scorso fine settimana il Paul Grimault Award all’ultimo Annecy International Animation Film Festival. Si tratta dell’adattamento animato di uno dei libri più venduti nella storia della letteratura del Sol Levante, il volume omonimo di memorie pubblicato nel 1981 dall’attrice e personalità televisiva Kuroyanagi Tetsuko, una delle figure più riconoscibili e popolari del piccolo schermo giapponese.

Per molti anni considerato un lavoro difficilmente trasferibile sul grande schermo per la sua verve poetica libera, il racconto autobiografico è stato finalmente trasferito in immagini animate da Yakuwa Shinnosuke, già dietro la macchina da presa per alcuni lungometraggi animati dedicati a Doraemon.

Il film, così come il libro, descrive gli anni giovanili della protagonista, Totto-chan, una bambina che viene ritenuta inadatta a frequentare le scuole elementari «normali» a causa della sua irrequietezza e mancanza di attenzione e che viene quindi mandata e accettata in una scuola dall’approccio speciale, le cui classi sono dei vagoni di treno inutilizzati, la Scuola Tomoe. Siamo nel 1940 e il tipo di educazione che viene portata avanti nella scuola è di tipo sperimentale, anche grazie alla figura illuminata del suo preside, il signor Kobayashi, che dà ampio spazio alle singole individualità dei bambini, ognuno con le sue particolarità. Fra questi alunni c’è un bambino con dei gravi problemi fisici che all’inizio risulta timido e restio a mostrare le sue disabilità, ma che con il passar dei giorni nella scuola instaura un rapporto speciale con Totto-chan.

La quotidianità dei bambini viene interrotta e mutata profondamente dalla progressiva militarizzazione del paese, un processo di cambiamento che si insinua anche nelle relazioni e nei giochi tra i bambini stessi. Infine arriva la guerra con la sua atmosfera opprimente e tetra che prima di diventare violenza indiscriminata non permette, per esempio, di usare parole non giapponesi e richiede lo sfoggio di orgoglio nazionale ad ogni occasione. Le parate militari che interrompono il traffico si moltiplicano, le bandiere giapponesi spuntano da ogni dove così come aumenta il senso di aggressività che si manifesta contro chiunque non dimostri di essere un patriota e di amare il proprio paese.

Dall’altro canto, la povertà e la scarsità di materie prime, utilizzate per scopi bellici, cominciano ad insinuarsi anche nella vita di ogni giorno della protagonista, che appartiene senza dubbio ad una delle classi più agiate, quando invece del solito cestino del pranzo porta a scuola dei fagioli in una busta di carta. La fame diventa fatto quotidiano e quasi a riflettere questi cambiamenti nella società giapponese, il film vira da colori più caldi verso quelli più scuri, con prevalenza di grigi e di un cielo spesso plumbeo. Gli unici momenti di colore nella seconda metà del lungometraggio sono portati dalle sequenze che descrivono il mondo interiore di Totto-chan. Queste sono fra le sequenze più riuscite di tutto il lavoro in quanto rendono alla perfezione la sensazione di immersione nell’immaginazione fantasmagorica della protagonista, questo anche perché utilizzano tecniche animate alternative, disegni quasi pastellati e sognanti che ricordano degli schizzi colorati su carta. Ma è tutto lo stile attraverso il quale è animato il lungometraggio a colpire, stile che ricorda molto da vicino certa iconografia degli inizi del novecento giapponese.

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