Un unico governo e meno scontri, il timido tentativo di Tripoli e Tobruk
Libia Il vertice a Ginevra il 5 o il 15 ottobre, sponsorizzato dall'Onu, sembra aprirsi sotto buoni auspici. Haftar sblocca i giacimenti chiusi all'inizio dell'anno e la Noc risponde revocando lo stato di forza maggiore
Libia Il vertice a Ginevra il 5 o il 15 ottobre, sponsorizzato dall'Onu, sembra aprirsi sotto buoni auspici. Haftar sblocca i giacimenti chiusi all'inizio dell'anno e la Noc risponde revocando lo stato di forza maggiore
Un nuovo Consiglio presidenziale e la formazione di un nuovo governo. Sono i due obiettivi che il vertice di Ginevra sulla Libia del 5 ottobre (o 15) si proporrà di discutere.
Il summit (virtuale) sponsorizzato dall’Onu proverà a trovare una soluzione condivisa per unificare le istituzioni del Paese diviso ormai da anni in due governi rivali, quello di Tripoli (il Gna) riconosciuto internazionalmente e quello dell’est di Tobruk sostenuto militarmente dal generale Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl).
Il nuovo Consiglio presidenziale sarà limitato a tre persone rappresentanti le tre regioni libiche (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan) secondo quanto già avanzato nei recenti incontri intra-libici in Marocco e Svizzera.
Il dato più rilevante, tuttavia, è che le parti rivali provano timidamente a ricostruire qualcosa insieme più che a sparare. Al segretario dell’Onu Antonio Guterres questo elemento non è sfuggito: «I combattimenti sono diminuiti», ha detto. Ma ha poi subito ammonito: «II rischio di nuovi confronti militari resta alto». Niente trionfalismi, insomma, perché la partita è ancora lunga.
Lavrov, il ministro degli Esteri russo, del resto è stato chiaro: la crisi è un «enorme rompicapo per molti attori internazionali». Innegabile però che la tensione tra le parti sia diminuita: emblematica l’intesa di venerdì (criticata da molti a Tripoli perché non concordata) tra il vice presidente del Consiglio presidenziale Maiteq e l’Enl di Haftar per la ripresa delle esportazioni petrolifere a cui ha fatto seguito sabato la decisione della compagnia petrolifera libica (Noc) di revocare lo stato di forza maggiore «dai porti e dai giacimenti petroliferi sicuri».
Un passo iniziale importante: la chiusura dei pozzi decisa da Haftar a metà gennaio – ufficialmente per una migliore spartizione dei profitti – ha prodotto 10 miliardi di perdite e causato sempre più blackout in Tripolitania e Cirenaica che hanno esacerbato il malcontento popolare.
Ora la Noc promette per la prossima settimana di produrre 260mila barili al giorno. Buone notizie (oggi sono 100mila) anche se lontani dagli 1,2 milioni pre-chiusura.
Intanto, Agenzia Nova ha riferito l’altro giorno che il premier dimissionario del Gna al-Sarraj si sarebbe recato a sorpresa in Turchia. I motivi non sono stati resi noti, ma non è difficile ipotizzarli: il presidente Erdogan aveva manifestato il suo «dispiacere» per la recente decisione dell’alleato libico di dimettersi rischiando di creare un vuoto politico nel Paese di cui potrebbero approfittarsene le milizie armate.
Ankara, fondamentale per la vittoria del Gna contro Haftar, ostenta però calma: il portavoce presidenziale Kalin ha detto che «i colloqui con al-Sarraj continueranno» e che i memorandum militari e marittimi siglati da Tripoli e Ankara lo scorso novembre «restano in vigore». In cambio, però, dalla Tripolitania chiedono ai turchi di fornire al loro governo un esercito in linea con gli standard internazionali.
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