Un respiro di sollievo per l’Amazzonia
Brasile Con la vittoria di Lula la foresta pluviale più grande del mondo diventa il cuore di uno sviluppo che rimette al centro ambiente e lotta alla povertà
Brasile Con la vittoria di Lula la foresta pluviale più grande del mondo diventa il cuore di uno sviluppo che rimette al centro ambiente e lotta alla povertà
La vittoria di Luiz Inacio Lula da Silva alle elezioni presidenziali brasiliane ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’Amazzonia. La foresta pluviale più grande del mondo non avrebbe resistito per altri quattro anni all’opera di devastazione portata avanti dal governo Bolsonaro che ha sempre visto l’Amazzonia come un ambiente da sfruttare e non come un ecosistema da preservare. Una cosa è certa: il pianeta non può fare a meno della foresta amazzonica per il ruolo che essa svolge nel preservare gli equilibri climatici e nel contenimento dei gas serra.
SONO PASSATI 30 ANNI da quel giugno del 1992 quando si sono riuniti a Rio i rappresentanti di 178 paesi per affrontare i temi legati al cambiamento climatico, effetto serra, deforestazione. In quella sede venne affrontato per la prima volta su scala globale il problema dello «sviluppo sostenibile», che è cosa ben diversa dalla crescita economica, e furono messi in evidenza i diritti delle future generazioni. Dopo tre decenni si riparte ancora dal Brasile per ribadire che lo sviluppo economico a tutti i costi, senza la salvaguardia dell’ambiente e delle comunità, produce sempre disastri irreparabili.
I QUATTRO ANNI DI GESTIONE BOLSONARO e i suoi progetti di «sviluppo dell’Amazzonia» ne sono la dimostrazione. Nel discorso pronunciato dopo essere stato proclamato come il nuovo presidente del Brasile, Lula si è impegnato a «costruire un paese sostenibile» e operare per avere «zero deforestazione» in Amazzonia. Quando si insedierà il primo gennaio del 2023 avrà due priorità: la questione ambientale e la lotta alla povertà, nella consapevolezza che le devastazioni ambientali concorrono in modo terminante a produrre povertà e disuguaglianze. Si deforesta, vengono appiccati migliaia di incendi, si uccide, con l’obiettivo di estendere la frontiera agricola.
IL BRASILE IN QUESTI ULTIMI ANNI ha aumentato le superfici coltivate a scapito dell’Amazzonia e del Cerrado, con un considerevole aumento della produzione agricola destinata all’esportazione, ma nel paese è aumentato il numero di persone che si trova in uno stato di insicurezza alimentare. E’ la dimostrazione che l’agrobusiness è un affare per gli agrari e i settori collegati, ma non contribuisce alla sicurezza alimentare della popolazione. In nessun paese come il Brasile la questione ambientale è così strettamente legata a quella agraria. Con Bolsonaro l’agrobusiness ha battuto tutti i record, sono cresciute le devastazioni ambientali e la popolazione si è impoverita. I dati che mostrano la sofferenza dell’Amazzonia sono impressionanti.
SECONDO L’ISTITUTO NAZIONALE per la ricerca spaziale (Inpe), nel mese di settembre di quest’anno nella regione amazzonica brasiliana si sono registrati più di 42 mila incendi. L’Amazzonia è una foresta umida e non può prendere fuoco per fenomeni naturali. Siamo di fronte a una sistematica attività che prevede in una prima fase l’abbattimento degli alberi e, successivamente, l’incendio per liberare il terreno. Ma quando si brucia si rilascia CO2 e alcune aree dell’Amazzonia, a causa degli incendi, emettono più carbonio di quanto riescano ad assorbirne. Secondo l’Inpe, nel 2019 le emissioni di carbonio nella regione amazzonica brasiliana sono aumentate dell’89%, mentre nei due anni successivi l’aumento è stato del 122%.
SONO GLI ANNI IN CUI IL GOVERNO BOLSONARO non solo non ha combattuto le attività criminali in Amazzonia, ma ha cercato di legalizzarle con proposte di legge come il PL 490, che introduce norme per favorire le attività agricole, estrattive e costruzioni di centrali idroelettriche nelle aree indigene, o come il PL 2633 che vuole sanare le situazioni di grilagem (acquisizione con documenti falsi di terre pubbliche).
SECONDO L’ISTITUTO BRASILIANO di geografia economica (Ibge) negli ultimi quattro anni la deforestazione è cresciuta del 73% e la distruzione delle piante ha interessato soprattutto le aree pubbliche. L’aumento della deforestazione è strettamente legato alla diminuzione delle attività di controllo: negli anni del governo Bolsonaro si è registrata una riduzione dell’83% delle sanzioni per abbattimento illegale degli alberi. Sta di fatto che il Brasile è salito al sesto posto per emissioni complessive di gas serra. Ma è cresciuto anche il livello di violenza nei confronti delle comunità indigene e degli ambientalisti. L’assassinio del giornalista inglese Dom Phillips e dell’indigenista Bruno Pereira, avvento nello Stato di Amazonas a inizio giugno di quest’anno, ha rilanciato la questione amazzonica e la necessità di tutelare i territori e le popolazioni che ci vivono.
IL PROGRAMMA DI GOVERNO DI LULA, presentato qualche giorno dopo l’assassinio, è stato rinforzato rispetto alla prima stesura nella parte dedicata all’ambiente, sottolineando che la protezione dell’Amazzonia e delle comunità indigene sono un obiettivo fondamentale da perseguire. Tra le prime iniziative che il nuovo governo dovrà intraprendere, per rimediare ai disastri ambientali prodotti in questi anni, c’è il ripristino degli organismi di controllo che Bolsonaro ha smantellato, in particolare l’Ibama (Istituto dell’ambiente e delle risorse naturali sostenibili) e la Funai (Fondazione nazionale dell’indio).
LA RIPRESA DEL PROCESSO DI DEMARCAZIONE dei territori indigeni, che risulta totalmente paralizzato da quattro anni, è l’altra questione da affrontare con urgenza. Sono 300 i territori in attesa di essere demarcati. Bolsonaro ha sempre sostenuto che l’assegnazione delle terre alle comunità indigene produce il «crollo della produzione agricola e la mancanza di alimenti per la popolazione». In realtà l’estensione delle terre demarcate corrisponde al 12% del territorio brasiliano e il 90% di esse si trova nella foresta amazzonica. Questo sta a dimostrare come la difesa dell’Amazzonia non può essere separata dalla tutela delle popolazioni indigene e dal processo di demarcazione. Ma la protezione dell’Amazzonia richiede anche forme di cooperazione internazionale.
BOLSONARO, NEGAZIONISTA CLIMATICO, ha utilizzato l’Amazzonia come merce di scambio, ora il nuovo presidente può costruire intorno all’Amazzonia, vista come bene comune, un sistema di relazioni internazionali, mettendo il Brasile al centro di un progetto per la lotta ai cambiamenti climatici. La Cop 27 che si sta svolgendo in Egitto dovrà definire tutte le iniziative necessarie per contrastare la deforestazione, un obiettivo da cui non si può prescindere per combattere i cambiamenti climatici. La presenza di Lula, insieme a Marina Silva, è particolarmente attesa per segnare una svolta rispetto a Bolsonaro che negli incontri internazionali ha sempre fornito dati falsi sugli indicatori di deforestazione e fatto promesse che non ha mai realizzato.
LULA POTRA’ PRESENTARE IL SUO PROGRAMMA ambientale, rafforzato dalla sentenza pronunciata il 3 novembre dalla Corte suprema del Brasile sul Fondo Amazzonia, il più importante programma di prevenzione ambientale a livello internazionale e che si prefigge di contrastare la deforestazione dell’Amazzonia, dando sostegno ai progetti portati avanti da Ong, governi statali e municipali, organi federali come Ibama e Funai. Il governo Bolsonaro aveva sabotato il Fondo, sciogliendo il comitato preposto a definire la destinazione delle risorse e pretendendo mano libera su come gestire i 600 milioni di euro che lo costituiscono. La Corte suprema ha definito omissivo il comportamento del governo, imponendo la riattivazione del Fondo per impiegarlo nelle attività a cui è destinato.
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