Visioni

Un racconto della gioventù tra le geometrie di «Paris, 13Arr.»

Un racconto della gioventù tra le geometrie di «Paris, 13Arr.»Una scena da «Parigi, 13Arr.»

Al cinema Il nuovo film di Jacques Audiard girato a Les Olympiades sorprende la cifra abituale del regista

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 24 marzo 2022

Houllebecq lo chiama la «fortezza quadrangolare» les Olympiades, il quartiere parigino nel 13 arrondissement nato negli anni settanta – tra il 1972 e il 1977 – i cui blocchi verticali sorti con un’operazione di intervento urbano tra le più imponenti che hanno riguardato la capitale francese dai tempi di Haussmann hanno il nome delle diverse città che hanno ospitato i giochi olimpici. Les Olympiades, in Italia Parigi, 13Arr., è anche il titolo del nuovo film di Jacques Audiard – era in concorso al Festival di Cannes 2021 – che restituisce questa parte multiculturale (soprattutto asiatica) della metropoli francese tra le linee geometriche dei palazzi e l’astrazione di luci notturne sin dalle prime inquadrature. Un film sorprendente nella filmografia del regista, Palma d’oro nel 2015 con Dheepan, che qui mette da parte l’attitudine «muscolosa» e dogmatica di altri film – pensiamo a Il profeta (2009) o alla sua rivisitazione del western nei Fratelli Sister – per una forma aerea, capace di cogliere ritmo e leggerezza del discorso amoroso tra i suoi quattro giovani protagonisti. Forse perché a scrivere insieme a lui ci sono Léa Mysius, sceneggiatrice per Desplechin, e Céline Sciamma – ritroviamo tra l’altro anche la protagonista del suo Ritratto della giovane in fiamme, Noémie Merlant – con la fluidità di una scrittura precisa che non prova mai a ingabbiare le immagini.

EMILIE, Camille, Nora, Amber Sweet cercano di orientarsi nei labirinti delle loro esistenze un po’ rallentate, in cui palpitano gli schermi dell’iphone e le chiamate online prima della pandemia – il film è stato girato però durante il lockdown. Emilie (Lucia Zhang, fantastica) fa sesso con le persone che incontra sulle app, una volta finito passa a altro. «La connessione è scaduta» – ripete lo smartphone e non si sa se parla della relazione o del link. Nella ricerca di un coinquilino incontra Camille (Makita Samba), giovane professore di storia al liceo, e dopo qualche domanda sulla sua vita sessuale – lui ammette che è molto intensa per «compensare la frustrazione professionale» – finiscono a letto. Camille però non vuole relazioni e neppure Emilie – «prima scopo poi vedo» ripete – ma di lui si innamora non ricambiata. Fine della storia. Qualche tempo dopo Camille deluso dall’educazione nazionale lavora in un’agenzia immobiliare dove conosce Nora, (Merlant), trentenne fuggita da Bordeaux che con molte illusioni si è re-iscritta all’università. Ma i compagni di corso l’hanno bullizzata scambiandola per Amber Sweet (Jehmmy Beth), una cam-girl di prestazioni sessuali online, e così è tornata alla sua vecchia attività.
I due si piacciono ma Nora vive male il sesso, a volte è aggressiva, per fare fronte ai suoi fantasmi contatta proprio Amber Sweet, e tra le due nasce una profonda complicità.
Fra stazioni del metrò e centri commerciali, giardini e spianate, ristoranti e negozi le persone si urtano, si incrociano si cercano, si fuggono: Parigi, 13Arr. parla di sentimenti che a volte rimangono sigillati, di un quartiere ancora non gentrificato, dei giovani fragili che lo abitano. Delusi dalla società e dalle relazioni professionali del nostro tempo, sopraffatti dalla precarietà che invade i rapporti, col bisogno di sentirsi accettati raccontano un sistema sociale, politico, economico che mette le persone in crisi allontanandole dalle proprie passioni. Si può resistere in qualche modo?

AUDIARD (e Sciamma e Mysius) ci portano lungo (e dentro) questo movimento che allontana e avvicina i loro personaggi, che è fatto di scoperte e di improvvise perdite, di passaggi dolorosi e di esempi di resistenza. Con uno sguardo alla nouvelle vague, ma ai tempi dell’amore 2.0,la regia di Audiard sceglie un sontuoso bianco e nero e si afferma in una parola che si fa ricerca di sé, spazio del corpo, del desiderio, del sesso e dell’amore che dentro a questa parola vivono.
Ispirato a una graphic novel di Adrian Tomine – Morire in piedi, Rizzoli – che potrebbe essere un testo di Marivaux, nei suoi dialoghi il film illumina epifanie che fanno parte della vita. Di cosa si parla quando si parla di giovani? Non c’è sempre la sottile tendenza al giudizio, allo stereotipo, alla lezione? Audiard nel confronto con la generazione dei suoi personaggi si fa mettere da parte dalla loro vitalità: questi ragazzi non vogliono dimostrare nulla né farsi portatori di istanze, vivono la nostra epoca, ne esprimono le incertezze, esistono con la loro inquietudine in una gamma di sfumature e di sensibilità, palpitanti nonostante tutto di un’energia che li rende magnificamente universali.

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