Palestre e ring fatiscenti, attrezzature assenti, guanti imbottiti di bambagia al posto di guantoni veri. Trovò una boxe simile a quella del passato, delle sfide quasi a mani nude, Giancarlo Bentivegna al suo arrivo nella Striscia di Gaza lo scorso settembre. A ben altre strutture sportive era abituato il pugile palermitano che qualche mese prima aveva infilato i guantoni per il titolo italiano dei superleggeri. Ciò che a Gaza però non mancava era la passione dei giovani palestinesi. Incontenibile, anche delle ragazze, e lui ne rimase molto colpito. «L’emozione è stata tantissima, – raccontò a un giornale siciliano Bentivegna, primo pugile professionista a mettere piede a Gaza dall’inizio del blocco israeliano 12 anni fa – I ragazzi si trovano in una situazione di totale isolamento e abbandono, non si confrontano con il resto del mondo da più di dieci anni e non hanno accesso alle attrezzature basilari». Il pugile siciliano offrì a 60 adolescenti, in alcuni casi poco più che bambini, dedizione e incoraggiamento. Loro gli regalarono una esperienza umana indimenticabile.

Si chiama “Boxe contro l’assedio” il progetto che ha portato Bentivegna a Gaza e che è nato dall’incontro tra la Ong siciliana Ciss e la Palestra popolare di Palermo. In seguito si sono unite le palestre di Roma Valerio Verbano e Quarticciolo. Valentina Venditti, cooperante che ha vissuto e lavorato per anni a Gaza, ci spiega come è andata. «Il progetto è partito lo scorso maggio – racconta – con una visita conoscitiva delle palestre di Gaza da parte del Ciss seguita a settembre dal viaggio di Bentivegna. Sono un centinaio tra bambini, ragazzi e ragazze, i palestinesi che praticano la boxe nella Striscia di Gaza. Tutti – sottolinea – hanno subito i traumi dei bombardamenti israeliani di cui, l’ultimo (Operazione Margine Protettivo, nel 2014, ndr) ha provocato più di 2 mila morti». Il Ciss ha studiato in profondità la difficile condizione dei giovani a Gaza cercando di mettere a punto un progetto specifico, fatto per loro. «Abbiamo capito che la boxe è in grado di infondere coraggio – prosegue la cooperante – specie ai più piccoli, contribuendo a combattere le paure. Indagando sulla storia dello sport in Palestina abbiamo appreso come, prima del 1948, la boxe fosse molto popolare, tanto da essere praticata ad alti livelli».

Nei giorni scorsi a Gaza, universalmente nota come una prigione a cielo aperto per oltre due milioni di palestinesi, sono entrati Giovanni Cozzupoli della Palestra Popolare Quarticciolo e Giulio Bonistalli e Carlotta Bartoloni della Palestra Popolare Valerio Verbano, accompagnati dai fotoreporter e videomaker Valerio Nicolosi e Daniele Napolitano. Per decine di giovani di Gaza è stata una full immersion di tecnica, motivazione e metodologie avanzate di preparazione atletica. Che si è svolta in palestre malandate, quasi prive di attrezzature ma colme di entusiasmo. E con le ragazze protagoniste, a partire da Iman Shahin che la boxe la sente scorrere nelle vene. «Ho visto un annuncio su Facebook che proponeva allenamenti di pugilato alle donne di Gaza – ricorda Iman – All’inizio ho avuto una sensazione strana, mi sono detta: un allenamento di boxe a Gaza! Per donne! Ero riluttante. Poi quando ho visto che diverse ragazze volevano allenarsi assieme a me è cambiato tutto. E le famiglie approvano».

Quelli del Ciss ci tengono a rimarcare che la partecipazione delle donne è un aspetto fondamentale di “Boxe contro l’assedio”. E che il progetto oltre a dare ai giovani palestinesi la possibilità di conoscere e praticare meglio questo sport è volto anche ad offrire a uno o più pugili l’opportunità di proseguire gli allenamenti in Italia. Non sarà facile realizzarlo. Il divieto, con poche eccezioni, di lasciare Gaza imposto da Israele penalizza anche gli sportivi. Sono rare le occasioni per i giovani della Striscia di poter andare almeno in Cisgiordania. «L’assedio (israeliano) di Gaza influenza tanto anche lo sport» ci dice Giovanni Cozzupoli, che è anche un tecnico federale. «Mancano materiali, le strutture, non si possono formare i tecnici. I ragazzi che abbiamo incontrato non si sono mai potuti spostare da Gaza, non hanno avuto alcuna occasione di confrontarsi con realtà esterne. E la novità rappresentata dal nostro arrivo ha avuto un forte impatto su di loro, tutti erano molto emozionati e desiderosi di mettersi in gioco». I formatori italiani sono arrivati in un momento particolare. «Alcuni dei ragazzi avevano in programma di andare a disputare incontri in Cisgiordania ma si sono visti negare il permesso dagli israeliani, perciò la possibilità di confrontarsi con un tecnico venuto dall’Italia li ha tirati su di morale», ricorda Cozzupoli.

L’impatto c’è stato anche per i formatori italiani. «Molto forte» spiega Carlotta Bartoloni che pratica il full contact karate «personalmente ho potuto fare un confronto tra le situazioni diverse di Gaza e Cisgiordania. Certo anche in Cisgiordania c’è l’occupazione ma le palestre sono attrezzate, a Gaza è tutta un’altra cosa». Per Giovanni, Carlotta e Giulio l’appuntamento è a settembre, quando contano di tornare a Gaza portando con loro materiali e attrezzature per i giovani palestinesi. Il loro ritorno è un piccolo passo per la realizzazione di un sogno degli sportivi di Gaza: mandare pugile a Tokio 2020.