Un programma non basta, serve un’anima per la sinistra
Due urgenze incombono sugli avversari del governo Meloni. La prima è come condurre l’opposizione. Sono ancora troppo divisi, troppo incerti, troppo restii alle azioni di protesta. La seconda, che in parte assorbe la prima, è come prepararsi alle prossime sfide elettorali.
Quest’urgenza riguarda in primo luogo i due maggiori partiti. Tanto più che Azione e Italia viva devono ancora decidere da che parte stare.
Osservatori autorevoli, anche sulle pagine di questo giornale, hanno detto che ciò che serve sopra ogni cosa è un programma. La richiesta è sacrosanta. E il solo rimedio ai personalismi e ai favori occasionalmente negoziati con questo o quell’interesse organizzato in vista delle elezioni.
Ma gli oppositori del governo Meloni versano in una condizione difficilissima. Si fossero riuniti tutti insieme, questo governo ce lo saremmo risparmiato. Ha prevalso la logica dei polli di Renzo. Gliene siamo, ovviamente, molto grati… E non è una condizione che sembra destinata a cambiare.
Litigiosità e personalismi sono nel Dna della sinistra italiana (o del centrosinistra) reinventata dopo il 1992 e la secessione di una quota di elettorato verso i 5 Stelle ha aggravato la situazione. Quello che segue è pertanto un ragionamento consapevolmente velleitario.
Il programma, dicevamo, è necessario e lo è ancor più alla luce delle sfide che aspettano l’opposizione ove tornasse al governo.
La prima sfida sarà lo stato del paese. Non serve troppa fantasia: servizi pubblici devastati, declino industriale aggiuntivo, occupazione vieppiù precaria, saccheggio del territorio, danni ambientali imponenti, stato desolante del debito, mortificazione della condizione femminile, Mezzogiorno in abbandono.
E si potrebbe continuare. Solo l’elenco mette i brividi. È consuetudine consolidata del centrosinistra trascorrere le sue stagioni di governo a riparare i danni di chi l’ha preceduto. I danni richiedono inevitabilmente sacrifici. E questi non giovano alla popolarità elettorale di chi li chiede.
L’altra gravissima sfida sarà l’Europa. Non è di sicuro il caso di uscirne. Ma non è una fraterna compagnia di uguali. E’ uno spazio di conflitti spietati. L’Europa industriale è assediata dalle nuove potenze economiche. Si è acceso perciò un durissimo il contrasto tra l’Europa settentrionale e l’Europa meridionale sul futuro industriale e sull’occupazione di qualità.
Le regole di bilancio testé approvate fanno – intenzionalmente – parte di questo contrasto. Impongono all’Italia, che ancora un po’ d’industria ce l’ha, ma che ha perso la partita sulle regole, di concorrere con un braccio legato dietro la schiena.
Non sono di contorno, questo è ovvio, la sfida ambientale, che si sta accelerando, e quella migratoria, la quale è quanto di più elettoralmente scomodo possa capitare a chi governa.
Come potrà l’Italia affrontare simili sfide? Premesso che solo unendo quante più forze d’opposizione è possibile a farcela, pensare un programma, e definire delle priorità, è arduo, ma fattibile. Il vero ostacolo risiede nelle risorse necessarie per applicarlo, scarsissime in ragione delle sfide di cui sopra. Serviranno sacrifici molto severi: fiscali, ma anche in termini di consumi e stili di vita.
La destra ha già mostrato l’intenzione di governare a spese dei settori più deboli del paese. A chi recalcitra provvederanno le forze dell’ordine. Cosa intendono e possono fare i suoi oppositori per ripartire altrimenti costi e sacrifici al momento non si sa.
Per come stanno le cose, non c’è programma che basti. Serve assai di più. E’ diventata una questione di egemonia, o d’immaginario, come si usa dire. Bisogna assolutamente pensare diversamente la società e offrire agli italiani una prospettiva di respiro, che legittimi e renda sopportabili i sacrifici che saranno loro richiesti.
Se è difficile allestire un programma, è però ancor più difficile elaborare e accreditare un nuovo immaginario. Perché di questo in sostanza si tratta: sostituire l’immaginario concorrenziale in vigore – l’esaltazione dell’individuo imprenditore di se stesso – con un nuovo immaginario collaborativo: siamo tutti sulla stessa barca. Nessuno resti indietro. Dal primato dell’arricchimento privato a quello del benessere collettivo.
Lavoro e dignità per tutti. Dalla disuguaglianza alla solidarietà. Che è come dire: urge archiviare il neoliberalismo.
Mission impossible, almeno finora. Due disastri – la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia – di cui il neoliberalismo è responsabile sembrava avessero messo la sua archiviazione all’ordine del giorno. Qualcuno ha finanche suonato le trombe del ritorno dello Stato. E invece il neoliberalismo è più vitale che mai ed è tornata la nazione: sotto le vesti del nazionalismo più bellicoso.
Come rompere allora l’immaginario del privato sopravvissuto perfino all’ecatombe del Covid? E come allestirne un altro? Urge scoprire un mondo nuovo. I partiti d’opposizione devono trovare la forza di delinearne i contorni, prima di enunciare qualsiasi programma.
Dirlo non basterà, ma è il primo passo per aprire il cantiere.
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