È possibile, forse probabile, che il governo Meloni sia incappato nell’ennesimo increscioso incidente, in una ulteriore gaffe prodotta da imperizia e pressapochismo. Capita ai principianti è vero, ma tre passi falsi in poche settimane sono troppi anche per i più comprensivi. Già cancellare l’obbligo di accettare i pagamenti elettronici sino a un tetto di 30 euro, come nella prima versione della legge di bilancio, era una scelta discutibile e in netta controtendenza con l’impostazione della Ue. Ma Salvini non si è accontentato, ha insistito per raddoppiare il tetto e stavolta la grana non poteva che esplodere. Pd e centristi mitragliano. Cottarelli si affida a Battisti: «Che sensazione di leggere follia». Letta preferisce le tonalità comizianti: «È un chiaro invito all’evasione fiscale. Il governo italiano su alcune scelte importanti dovrebbe seguire l’Europa».

GIÀ, L’EUROPA: il problema è quello, non gli strepiti dell’opposizione. Perché in questo momento la premier di tutto ha voglia tranne che di ritrovarsi in rotta di collisione con Bruxelles. Dunque palazzo Chigi si affretta a far sapere che sul tema «sono in corso interlocuzioni con la Ue» del cui esito «si terrà conto nel prosieguo dell’iter della legge». Traduzione: il tetto sarà alzato solo col permesso di Bruxelles. In realtà le «interlocuzioni» avviate sono due. La Ue permette infatti di portare a 85mila euro il tetto per la Flat Tax degli autonomi ma solo a partire dal 2025. Per partire con due anni d’anticipo occorre dunque una precisa deroga.

I due casi sono simili ma non identici. Per l’innalzamento della Flat al 15%, infatti, il governo ha tenuto conto del problema sin dall’inizio e ha chiesto la deroga, senza che sia ancora arrivata risposta, sin dal 4 novembre. Il blitz sul tetto del contante, invece, ha tutte le caratteristiche di una trovata estemporanea e arruffata. Il problema è che ieri la manovra ha iniziato il percorso parlamentare ed entrambi gli alleati di Meloni vogliono portare a casa qualche conquista in più da sbandierare. La Lega punta tutto sull’alzare le asticelle, come ha fatto sui pagamenti elettronici. Modifiche limitate, tanto per rivendicare meriti con la base elettorale: rateizzazione da 5 a 7 anni per le cartelle oltre i mille euro, eliminazione del rdc a chi lascia o ha lasciato la scuola, esenzione dall’Imu per chi ha case occupate e naturalmente l’impegno a partire con il faraonico ponte sullo Stretto.

FORZA ITALIA ha obiettivi meno propagandistici, decisamente più seri. Sono costosi ma Berlusconi, irritatissimo per non aver avuto voce in capitolo nella stesura della legge, vuole strapparli a tutti i costi. Chiede che le pensioni minime siano portate a 600 euro subito e non a 570 dagli attuali 525. L’esborso sarebbe di 780 milioni invece dei 200 previsti e sarebbe comunque largamente insufficiente.

I FORZISTI chiederanno anche di allungare i tempi sull’abbassamento del Superbonus e probabilmente anche del reddito di cittadinanza. È già certo che il governo contingenterà gli emendamenti per snellire i tempi ma Berlusconi sarebbe determinato a puntare i piedi anche a costo di andare oltre il 31 dicembre, nonostante l’esercizio provvisorio che in quel caso scatterebbe automaticamente. Non sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica.

La premier, naturalmente, difende a spada tratta la sua manovra, pur riconoscendo che è stata «una corsa contro il tempo» e che lo stanziamento sul cuneo fiscale è «significativo ma non sufficiente». Parla all’Assemblea di Confindustria veneta, dice quel che le aziende vogliono sentirsi dire. Che il governo «si assumerà la responsabilità delle scelte anche se dovesse costare in termini elettorali»: lo ha già dimostrato intervenendo contro l’rdc in nome «dell’etica del lavoro». Conferma la principale scelta di fondo, quella che connota davvero il suo governo dietro le chiacchiere sull’attenzione ai più disagiati: «Non disturbare chi produce». Sono le aziende a produrre una ricchezza che è «ricchezza della nazione». I compiti del governo si limitano dunque a uno solo: «Crare le condizioni perché le aziende crescano». Laissez Faire.