La creatività si è scatenata ieri in tante piazze d’Italia e d’Europa: lockdown o no, il modo di gridare «Aprite le Frontiere!» si è trovato. A Trieste, da dove tutto è partito, a Roma a Torino, ai più piccoli paesi, sui confini, a Claviere, a Ventimiglia in Sicilia, «un ponte di corpi» ha aderito all’iniziativa. Una banda di ottoni e un flash mob tutto al femminile ad Atene. Le donne dell’Odissea recitate a Paestum. Striscioni, cartelli, poesie, canzoni. A Berlino, in Irlanda, nei Paesi Bassi, la voglia di esserci, la capacità di esserci, comunque.

La rete solidale è vasta, tanto, molto più di quanto appaia. Le adesioni al manifesto scritto da Lorena Fornasir nel quale chiedeva che «un ponte di corpi» si prendesse per mano per superare i confini, per dire che ogni essere umano deve potersi muovere e raggiungere i luoghi dove poter vivere con dignità, sono cresciute, non hanno trovato casse di risonanza se non la volontà dei singoli. Quel manifesto, il carrettino verde con cui ogni sera Lorena si reca in piazza per trovare “clandestini”, hanno raggiunto il cuore e la volontà di migliaia di persone.

«Oggi stiamo assistendo a una specie di trionfo della morte. Il carrettino verde, carico di cose per far vivere, è invece storia e memoria di una pratica della cura che le donne conoscono bene, non come gesto sacrificale ma come competenza di stare, essere in presenza dell’altro. Il corpo della donna contiene in se stesso la negazione del confine perché è un corpo naturalmente aperto attraverso l’atto più intenso del generare, del portare alla luce l’altro da sé. Noi siamo coloro che dicono no allo scontro di razza, perché pensiamo che nel mondo dei morti nessuno è inferiore all’altro. Noi siamo coloro che gridano al mondo che non c’è nessun dio e nessun bene, quando migliaia di essere umani muoiono a causa dei confini. Noi siamo coloro che maledicono i confini perché quelle strisce di terra o di mare sono bagnate di sangue, selezionano chi può passare e chi no, chi può vivere e chi può morire, chi può essere torturato e chi può essere deportato. Noi siamo coloro che vogliamo alzare alta la voce della maternità, che è la voce della solidarietà, della vita che altre donne hanno generato consegnandola ad altre madri del mondo affinché la conservino e la promuovano».

L’appuntamento di ieri nelle tante “piazze del mondo” è stato un successo quasi inimmaginabile, da Trieste alle cento piazze che hanno denunciato le violenze ed i respingimenti, che hanno voluto mostrare di essere «là dove bisogna stare».

Lorena, e altre donne con lei, non sono riuscite a entrare in Bosnia, respinte alla frontiera croata dopo perquisizioni e interrogatori ma le loro farfalle gialle sono volate comunque assieme alle tante altre che si sono alzate in volo ieri da tutta Europa.

Tra i corpi a Trieste c’era anche il vicepresidente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Gianfranco Schiavone: «Prima ancora di migrare ‘liberamente’, è il fatto di non poter in nessun caso accedere a canali di migrazione regolari, ovviamente regolati, ma regolari. Laddove non ci sono canali regolari, si innesca la criminalità», ha spiegato.

«Io rivendico il carattere politico, e non umanitario, del mio impegno quinquennale con i migranti» ha sempre detto Gian Andrea Franchi e lo ribadisce con forza dopo l’irruzione della polizia nella sua casa per la presunta colpa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, «l’impegno umanitario è un impegno che si limita a lenire la sofferenza senza tentar d’intervenire sulle cause che la producono. L’impegno politico, nell’attuale situazione storica, è prima di tutto resistenza».

L’oggi puzza di putrefazione, cambiare il mondo è una salita lunga e faticosa ma, intanto, c’è la forza dell’auto-organizzazione, la presenza in piazza e nel web, come schiaffi all’Europa sorda e cieca. Si è visto anche ieri: migliaia di corpi sono stati testimoni, anche, di una testarda, irriducibile, volontà di cambiamento.