Anna non è affatto contenta. Sta per compiere dodici anni e in occasione del suo bat mitzwà – in ebraico “figlia del precetto”, cerimonia che la definirà ebraicamente adulta – sperava di leggere la Torah, il pentateuco, in una lettura pubblica come fanno normalmente i maschi tredicenni. Anna invece dovrà accontentarsi di fare un commento in italiano come da oltre un secolo fanno le ragazzine ebree in Italia senza “salire” direttamente alla lettura del testo. In Israele presso alcune comunità dell’universo ebraico ortodosso la lettura rituale da parte delle donne è una cerimonia sempre più diffusa ma in Italia non si è ancora pronti. Adesso, per quel che riguarda il ruolo della donna anche nel mondo ebraico ortodosso – le comunità più legate all’osservanza della precettistica – le cose stanno cambiando. Lentamente. In Israele nei tribunali rabbinici, composti solo da uomini, che debbano decidere sulle cause di divorzio vi è anche una sorta di avvocato donna. Una presenza che introduce sensibilità e attenzioni nuove e diverse. Anche la piccola comunità ebraica italiana, fino ad ora interna al mondo ortodosso, ne è sfiorata. Probabilmente il desiderio di Anna si limita a precorrere i tempi.

Da poco più di dieci anni nella realtà ebraica italiana si sono affacciate anche forme di ebraismo “riformato”: si tratta di comunità numericamente ancora piccole ma che sono probabilmente destinate a modificare l’ebraismo italiano e che propongono anche l’ordinazione di donne rabbino, un’ipotesi fino ad ora sconosciuta in Italia.
L’ebraismo è – anche – un complesso sistema di norme che definisce una società. Non a caso una delle traduzioni ebraiche della parola Torah, il pentateuco, è proprio “legge”. La collettività ebraica che ne discende è una società con una distinzione di ruoli precisa, che non riguarda solo la dimensione di genere, da cui discende una definizione rigorosa di diritti e doveri. Anche la Bibbia racconta la vicenda di donne che hanno avuto posti diversi nella storia ebraica: le matriarche Sara, Rebecca, Rachele e Lea sono narrate soprattutto, ma non esclusivamente, come mogli dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe. Ma vi è anche Debora, profetessa e giudice d’Israele. E nella definizione del ruolo della donna vi è quello, fondamentale e ineludibile, dell’appartenenza al popolo ebraico che è matrilineare: è ebreo chi è figlio di madre ebrea. Solo nel secolo scorso e solo le correnti riformate dell’ebraismo hanno modificato il precetto: è ebreo chi è figlio di un genitore ebreo, rinunciando così alla specifica di genere. Un cambiamento di abito culturale che cambia anche il ruolo della donna. Non è un caso che sia stato proprio in ambito reform che è comparsa una figura del tutto nuova: un rabbino donna. Regina Jonas fu la prima e si formò in ambito europeo: nata a Berlino in una comunità ebraica di ispirazione moderatamente riformata nell’agosto del 1902 venne uccisa ad Auschwitz nel 1944. Fu “la prima rabbina al mondo – scrive Maria Teresa Milano nella biografia “Regina Jonas – vita di una rabbina”, edizioni Effatà – una donna che non mira alla conquista della parità dei sessi, quanto piuttosto all’equivalenza di genere ed invoca la conquista di una status sulla base delle potenzialità e delle caratteristiche proprie delle donne e non quale equiparazione alle mansioni e ai ruoli maschili”. La riflessione se oggi il ruolo e le modalità di azione e percezione delle donne rabbino siano ancora come praticato da Regina Jonas è per l’Italia ancora lontanissima mentre negli Stati Uniti riempie intere biblioteche.

Resta che la questione dell’accesso agli studi ebraici – preliminare con tutta evidenza al conseguimento del titolo rabbinico – è discussa anche nelle fonti tradizionali. “Chi insegna parole di Torah alle sue figlie – è scritto nella Mishnà, testo fondamentale – è come se insegnasse futilità”. “Questo atteggiamento – ha scritto Yeshayau Leibowitz, uno dei maggiori filosofi ebrei contemporanei – è un errore grave e costituisce un disastro per il modo storico ebraico. La partecipazione all’ebraicità si realizza attraverso il compimento dei precetti e la partecipazione nella condivisione della tradizione e della spiritualità. Chi studia collabora alla presenza della Shekinà (la presenza fisica di Dio nel mondo ndr) in mezzo al popolo di Israele. Allontanare le donne dallo studio significa sottrarle a un diritto basilare e rendere la loro ebraicità inferiore a quella degli uomini”. L’ebraismo ortodosso italiano ha da tempo largamente aperto l’accesso agli studi tradizionali alle donne pur senza arrivare all’ordinazione rabbinica ma la presenza di donne rabbino di diverse tradizioni ebraiche potrebbe mettere comunque in moto dinamiche virtuose circa la partecipazione consapevole delle donne alla vita ebraica. Oggi, smessa la dimensione autoreferenziale e provinciale dovuta al relativo isolamento geografico, l’Italia ebraica è destinata a vedere nel prossimo futuro robusti cambiamenti e il ruolo delle donne e la loro pratica dell’ebraismo, che già oggi offrono un panorama variegato e in movimento, ne saranno uno dei nuclei religiosi ed identitari. La giovane Anna deve avere pazienza, forse, la sua sorellina di qualche anno più giovane potrà davvero ‘salire’ alla lettura della Torah, o forse sceglierà una strada diversa e diverrà la prima donna rabbino italiana: il mondo ebraico italiano è in movimento e tutti i futuri sono possibili.