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Un network di pagine Facebook per la propaganda russa in Africa

Un network di pagine Facebook per la propaganda russa in Africa

Social network Il report di Reset: «Come for the Memes, Stay for the Russian Propaganda»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 6 agosto 2023

Un network di almeno 57 pagine Facebook che «disseminano e amplificano la propaganda del Cremlino», con una base complessiva di 5.1 milioni di follower nell’Africa francofona. È la rete di influenza russa scoperta e analizzata dall’organizzazione di ricercatori digitali Reset., autrice del report Come for the Memes, Stay for the Russian Propaganda. Un’operazione che Reset. definisce come parte integrante della «guerra ibrida» condotta dalla Federazione, che dal Mali al Niger punta ad accreditarsi come «la vera amica e alleata dell’Africa». I contenuti condivisi sulle pagine sono principalmente video ripresi da canali media o siti istituzionali russi, oppure montaggi – realizzati in particolare dalla camerunense Ebene tv – di servizi di media mainstream, decontestualizzati e su cui vengono sovraimpressi messaggi di propaganda.

Il titolo del report – vieni per i meme, resta per la propaganda russa – allude al metodo impiegato dalle pagine per raccogliere il maggior numero possibile di follower in breve tempo: postare inizialmente solo meme, articoli di gossip o soft porn per poi passare esclusivamente ai contenuti di propaganda, “ristrutturando” le pagine sulla falsariga di quelle dei media ufficiali. Fra gennaio e giugno le interazioni (like, commenti, condivisioni) su queste pagine sono state 9.2 milioni, i post 11.700 e la base di follower è cresciuta del 60%.

Tutto senza che Meta facesse nulla, nonostante le pagine – risulta dal report – siano tutte in evidente violazione della politica della compagnia contro i «comportamenti coordinati inautentici». Al contrario: da aprile Meta, con il suo piano di 10.000 licenziamenti, ha ulteriormente tagliato il personale delle squadre di moderazione dei contenuti e sorveglianza della disinformazione. E non è mai intervenuta su quanto la whistleblower Frances Haugen ha denunciato ormai da anni: nei paesi non anglofoni la moderazione è quasi inesistente.

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