Il Casotto è una commedia post-pasoliniana di Sergio Citti uscita nei cinema nel 1977. Si svolge interamente all’interno di una cabina sull’arenile di Ostia. Senza mai mettere l’obiettivo fuori dalle quattro pareti di legno, la telecamera osserva il viavai di personaggi e il crocevia di esistenze che forniscono uno spaccato dell’Italia del periodo. Oggi, davanti alla zona urbanizzata di Ostia, il municipio di Roma che affaccia sul mare, c’è un muro lungo quasi quattro chilometri che impedisce di vedere il mare e di accedere alla spiaggia. E c’è un Casotto amministrativo, legislativo e in alcuni casi criminale che blinda il luogo nevralgico del litorale romano.

LA BARRIERA DI CEMENTO che divide la strada dall’arenile è cominciata a nascere dalla fine degli anni ottanta, percorrendola si osservano le stratificazioni delle ere politiche e le sedimentazioni degli abusi ciclici. Serve a proteggere gli affari privati dei balneari. Sui 13,8 chilometri totali del Lido di Ostia si contano 71 stabilimenti. Secondo i calcoli del Dossier Spiagge di Legambiente, escludendo dal novero la Riserva naturale di Castelporziano, il 57,5% delle spiagge è in mano alla gestione dei imprenditori privati, con la concentrazione di cui si diceva a proposito di quelle che si trovano di fronte al centro abitato.

UNA LEGGE REGIONALE del 2015 impone che almeno la metà delle spiagge vengano lasciate libere. Nella spiacevole classifica delle occupazioni del litorale nelle quindici regioni costiere italiane, il Lazio si classifica settimo. «Su 243 chilometri di litorale sabbioso – certifica ancora Legambiente – ci sono 3217 concessioni di vario genere, tra queste sono 654 quelle per stabilimenti balneari». Lo strumento amministrativo che dovrebbe garantire la proporzione prevista tra spiagge libere e concesse all’uso commerciale si chiama Piano comunale di utilizzazione degli arenili.

TRE SETTIMANE FA IL CONSIGLIO del X municipio, quello di Ostia, ha approvato una risoluzione che impegna la giunta municipale a guida Pd ad abbattere tutti i muri e gli insediamenti abusivi costruiti sul Lungomare che qui chiamano sarcasticamente Lungomuro. La risoluzione chiede che titolari degli stabilimenti rimuovano almeno il 50% delle barriere (recinti, pareti, cancelli, inferriate o filo spinato) che impedisce la vista del mare e che garantiscano un accesso alla spiaggia adeguatamente segnalato ogni trecento metri. «Quel muro non si limita a impedire l’accesso alla spiaggia delle persone, cosa di per sé già abbastanza grave – dice Marco Possanzini, consigliere municipale di Sinistra italiana – Quel muro serve spesso anche a nascondere abusi edilizi e lavoro nero. Le regole, le ordinanze e le sentenze, sull’accesso al mare di Roma ci sono, vanno applicate». Il Comune di Roma vuole fare la sua parte mettendo attorno a un tavolo i soggetti interessati. «Alla metà del prossimo mese dovrebbe arrivare in consiglio comunale la modifica al Regolamento speciale del decentramento del municipio X per consentire anche al sindaco di avere voce in capitolo», dice l’assessore Andrea Catarci.

NON SARA’ SEMPLICE. OSTIA, NEGLI ANNI scorsi è stato l’unico municipio italiano sciolto per mafia. Qui ha agito la prima mafia autoctona, riconosciuta tale dalle sentenze della magistratura, dei Fasciani e degli Spada. La vicenda delle concessioni demaniali risente senz’altro del traffico di capitali illeciti e del controllo del territorio della criminalità organizzata. Si calcola che ognuna delle 71 assegnazioni abbia un valore che va dai 3 ai 10 milioni di euro. Il Comitato MareXTutti di Ostia in questi anni ha segnalato i frequenti casi di esercenti che impedivano l’accesso alla spiaggia ai cittadini. Passano solo quelli che pagano: per una giornata al mare, tra pasti e ombrellone, si calcola una famiglia di quattro persone spende circa 150 euro.

ALLA META’ DEGLI ANNI NOVANTA, dopo alcuni rapporti della Capitaneria di Porto circa l’allargamento di cabine e ristoranti e addirittura la costruzione di piscine dentro gli stabilimenti, il Comune di Roma bloccò il rilascio delle concessioni. Successivamente, sostenne Corte dei conti, l’Ufficio del demanio marittimo comunale «provvide a ‘sanare’ la posizione di coloro che pur non avendo titoli legittimi d’occupazione delle aree demaniali in corso, avevano continuato a occupare». Nel 2003, sindaco Walter Veltroni, il Campidoglio decise di rilasciare «l’atto formale»: concessioni per tutti per un arco di tempo che andava dai 18 ai 25 anni, nonostante la legge prevedesse che i titoli potevano durare al massimo 6 anni più altrettanti di rinnovo. Oltretutto, la sentenza evidenzia la mancanza di «un essenziale riferimento della determinazione del canone»: ci si basò su planimetrie autocertificate.

QUANDO DIVENNE SINDACO Ignazio Marino, siamo al 2013, la questione passò in mano all’assessore alla legalità ed ex pm antimafia Alfonso Sabella. Il quale scoprì che le planimetrie originali erano andate distrutte nel corso di un incendio. Poco o niente è cambiato con l’amministrazione di Virginia Raggi: per approssimazione e ideologia un Piano di utilizzazione degli arenili che riformulava tutto ma restava nell’ottica delle concessioni e del disinvestimento del pubblico. Poi la giunta Gualtieri, che in campagna elettorale ha preso gli impegni del «superamento del ‘Lungomuro’ e recupero delle visuali del mare, anche attraverso programmi di demolizione e ricostruzione degli impianti». Mentre si attende la riforma delle concessioni richiesta dal Pnrr e dopo le sentenze della magistratura sulle mafie di Ostia, questa volta la politica potrebbe non avere più scusanti.