Nickolas Butler, un inedito Midwest dal cuore aperto
Intervista Parla il curatore (con Giulio D’Antona) di «Storie dal Wisconsin», Black Coffee. Il libro sarà presentato nella cornice del festival La Grande invasione a Ivrea domani alle 18. «Per chi abita a Chicago, quel luogo ha sempre rappresentato un’immagine di vacanza, aria fresca, natura... Per me, che non sono una persona di città, e che vivo su sedici acri di terra con intorno foreste e campi, un luogo dove orsi e coyote transitano come leggende, la prospettiva è diversa»
Intervista Parla il curatore (con Giulio D’Antona) di «Storie dal Wisconsin», Black Coffee. Il libro sarà presentato nella cornice del festival La Grande invasione a Ivrea domani alle 18. «Per chi abita a Chicago, quel luogo ha sempre rappresentato un’immagine di vacanza, aria fresca, natura... Per me, che non sono una persona di città, e che vivo su sedici acri di terra con intorno foreste e campi, un luogo dove orsi e coyote transitano come leggende, la prospettiva è diversa»
Nickolas Butler è nato nel 1979 in Pennsylvania, ma è cresciuto e vive tutt’ora, con la moglie e i due figli, a Eau Claire in Wisconsin. Romanzo dopo romanzo – Shotgun Lovesongs, Il cuore degli uomini, Sotto il falò, La casa vicino alle nuvole e Uomini di poca fede, tutti pubblicati nel nostro Paese da Marsilio – si è costruito la fama di narratore dell’America rurale, di interprete di quel mondo della parte settentrionale del Midwest dove il vecchio cuore industriale degli Stati Uniti, da tempo mutato in una vasta Rust Belt, lascia spazio a laghi e boschi, foreste e altipiani. Su iniziativa dell’editore fiorentino Black Coffee, che ci ha abituati a un’esplorazione puntuale della nuova mappa narrativa d’America, e del suo amico Giulio D’Antona, a sua volta scrittore e traduttore e già corrispondente da New York di diverse testate nazionali, con cui firma la cura del volume, Butler è ora all’origine della raccolta Storie dal Wisconsin (Black Coffee, traduzione di Federica Principi, pp. 140, euro 18) che riunisce dodici testi, più i due dei curatori, che ci introducono alla vita, alle storie e ai sogni di questa parte del Paese.
Che si tratti di autori che ci sono nati o che hanno scelto di vivere e lavorare in Wisconsin, la sensazione dominante è che da questa terra di fiumi e fattorie, caseifici e fabbriche di birra prenda corpo un’immagine inedita del Midwest, meno «chiusa» e inospitale e maggiormente attenta alla solidarietà e all’«altro» di quanto si possa immaginare. In questi brevi saggi dal taglio narrativo che spaziano dalla memoria famigliare, che prende corpo intorno ad una baita, ai luoghi dei ricordi della comunità, i «supper club» dall’atmosfera vintage dove si può mangiare lungo le strade provinciali, alle prove di empatia tra vicini alle prese con le strade ricoperte da metri di neve, fino ai contorni sociali della leggenda del «temibile Hodag», una creatura che abiterebbe i boschi della regione, prende corpo un mondo fatto di piccoli gesti, attenzioni inattese, sguardi mai banali che disvela al lettore una realtà che i romanzi di Butler hanno del resto già contribuito a illuminare, senza pregiudizi né inutili celebrazioni.
Ha spiegato come l’iniziale idea di riunire degli scritti dedicati all’intero Midwest le sembrava complicata, data la vastità delle realtà coinvolte. L’«essenza» del Wisconsin si può invece cogliere da queste pagine?
In effetti non sono sicuro che un singolo libro possa riassumere completamente lo spirito di un luogo o dei suoi abitanti. Ma può provare a farlo. Questa raccolta è stata composta da un gruppo eterogeneo di autori, provenienti da tutto il Wisconsin: alcuni hanno vissuto qui tutta la vita, altri no, e hanno messo le loro diverse prospettive nei rispettivi testi. Ci sono i professori universitari, certo, ma anche i costruttori di barche di legno o chi lavora nei casinò. E trovo significativo che a dominare sia uno spirito di gentilezza e curiosità, che penso rifletta l’atteggiamento con cui Black Coffee mi ha proposto questo progetto. La maggior parte dei turisti europei non penserebbe mai di visitare il Wisconsin, ma questa è la cosa bella dei libri: puoi visitare un luogo seduto sulla tua poltrona.
Lopamudra Basu, nel suo scritto sull’arte della guida nelle difficili condizioni climatiche dello Stato, nota che lo spirito del Wisconsin è definito dalla stagione invernale, mentre John Hildebrand aggiunge come si sia plasmato all’ombra dei grandi boschi del Nord. Come raccontare la cultura che si sviluppa in tale contesto?
Il riferimento al ruolo dell’inverno mette in evidenza quanto le condizioni climatiche fungano da grande livellatore della vita nello Stato. La moda non ha davvero importanza quando la temperatura è di meno 30 gradi Fahrenheit. Guidare un’auto sportiva costosa non ha molto senso durante una bufera di neve. Tutti soffrono le stesse condizioni, lo stesso freddo. L’isolamento domina in inverno, quasi tutti restano dentro casa, ma è appunto un elemento generale. In questo senso, mi piace l’idea che il tempo e le stagioni abbiano una sorta di effetto democratico. Mentre parlare dei «boschi del Nord» esprime una sensibilità leggermente diversa: la prospettiva della fuga, l’idea di un’America ancora selvaggia. Per chi vive a Chicago, il Wisconsin ha sempre rappresentato un’immagine di vacanza, aria fresca, natura… Per me, che non sono una persona di città, e che vivo su sedici acri di terra con intorno foreste e campi, un luogo dove orsi e coyote transitano come leggende, la prospettiva è diversa.
A partire dal suo lavoro di scrittore, e dopo aver curato questa raccolta, pensa si possa parlare di uno stato d’animo narrativo del Wisconsin, un po’ come avviene per la musica con lo «state of mind» di un luogo?
Più scrivo e vedo pubblicati i miei testi e più mi rendo conto che venire dal Wisconsin, e più in generale dal Midwest, significa che non sono del tutto preparato per l’aspetto pubblico di questo lavoro. Vedo scrittori di New York o Los Angeles, e sicuramente accade lo stesso anche in Europa, presentati alla stregua di maghi e streghe, quasi lo scrivere fosse una sorta di magia che solo loro sono in grado di controllare. Molti di loro lasciano emergere grandi personalità, un’enorme fiducia in se stessi e, talvolta, pontificano un po’. Ecco, direi che questo non fa parte della cultura del Wisconsin o del Midwest: qui anche se ti guadagni da vivere scrivendo, non ti pensi come particolarmente speciale, piuttosto guardi a chi e cosa ti sta intorno. Una modestia e un’umiltà che emergono non a caso anche in questa raccolta.
Nelle «Storie del Wisconsin», e nei suoi romanzi, si ha l’impressione che la vita degli individui, le loro relazioni con i luoghi e le persone che li circondano, indichino un rapporto inedito con lo scorrere del tempo, meno pressante e definito. Il mondo in cui agiscono è frutto del rapporto con lo spazio naturale?
Per me è decisivo il rapporto profondo che si stabilisce con lo spazio fisico che ci circonda. Penso si possa affermare che la maggior parte delle persone che vivono nei centri urbani è quasi del tutto estranea al rapporto diretto con la natura. Ciò non significa che gli abitanti delle città siano incapaci di stabilire una relazione con i luoghi in cui vivono, per niente; sicuramente conoscono e amano le loro strade, edifici, bar, negozi di alimentari, ecc. Ma per me è comunque diverso: conosco e parlo con gli alberi della mia terra, pianto e coltivo ciò che cresce nel mio giardino, vado a caccia. In un modo o nell’altro vivo all’interno di questa relazione profonda con l’ambiente naturale. E credo che molti degli scrittori coinvolti in questa raccolta si sentano allo stesso modo. Autori come Jay Gilbertson (un contadino), John Hildebrand (un cacciatore e canoista), Josh Swan (un costruttore di barche di legno) e Michael Perry (che è cresciuto in una fattoria) sono tutti profondamente radicati nel luogo in cui si muovono.
Un altro elemento sembra mettere in relazione questi testi con i suoi romanzi: il rapporto tra letteratura e memoria, il passaggio del testimone da una generazione all’altra e la capacità di indagare se stessi riannodando i fili che dal passato conducono al presente.
Tendo a non pensare che il mio lavoro abbia a che fare con la memoria, quanto piuttosto con una specie di codice condiviso, o, se vogliamo di «moralità». Certo, memoria e cultura sono strettamente legate e ogni narrazione è prima di tutto memoria. Non ci sono nuove storie, solo modi potenzialmente nuovi di raccontare storie. Questo mi interessa. Il modo in cui sono legato ai narratori che hanno influenzato la mia educazione, il mio gusto per la letteratura e il cinema. Come genitore sono interessato a condividere il meglio di mio padre e mio nonno, mia madre e mia nonna: quali storie mi hanno raccontato che voglio a mia volta trasmettere ai miei figli? La migliore letteratura dovrebbe almeno tentare di essere senza tempo. Ci sono molti bei libri che cercano solo di intrattenere, ma mi piace pensare che tutto ciò su cui lavoro miri a qualcosa di più del semplice intrattenimento.
Il Midwest, Wisconsin compreso, sono stati spesso presentati come l’«America di Trump»: è solo un luogo comune?
Quanto spazio abbiamo? Perché potrei scrivere un libro su questo argomento. È complicato. Vivo in una parte molto complicata del Wisconsin. Ognuno dei miei vicini possiede una pistola, o molte pistole. Tutti cacciano. Molti di loro coltivano il proprio cibo. Ci sono Amish che vivono a meno di tre miglia da me. È il 2023 ma riesco ancora a sentire il clip-clop-clip-clop degli zoccoli dei cavalli sull’asfalto mentre passa un calesse trainato da cavalli… Quello che voglio dire è che vivo in un posto dove la mentalità è più strettamente legata al 1923 o al 1823 che, diciamo, al 2023. Questo ha certamente un effetto sulla politica. E secondo me per il peggio. Molte delle piccole città circostanti sono in costante degrado e nessun politico sembra preoccuparsene. Quindi, quando Trump stava salendo al potere, visitò spesso il Wisconsin. Venne anche a Eau Claire e attirò una folla enorme. Sapeva che le persone qui intorno erano affamate di attenzione e che fin troppe tra loro potevano essere ricettive al suo marchio di rabbia, sfida e nostalgia tossica. Indovina un po? Hillary Clinton non ha mai visitato il Wisconsin. Non una volta. Perciò, troppo semplice pensare solo a Trump, bisogna considerare anche i suoi avversari. Entrambi i partiti hanno abbandonato la maggior parte dell’America, purtroppo.
Giulio D’Antona, che ha curato la raccolta con lei, spiega che ai suoi occhi «il Wisconsin è il crocevia americano», un luogo dove, attraverso i racconti degli abitanti, emerge «l’epica del continente, con i suoi trionfi e le sue contraddizioni». Cosa ci dice degli Stati Uniti di oggi questa terra?
Penso che in realtà ci dica che l’America mostra un po’ ovunque le sue profonde fratture interne e che la politica non sembra fare granché per risolverle. Ma non è questa l’immagine con cui voglio concludere le mie osservazioni. Voglio dire piuttosto che il Wisconsin è un luogo di bellezza inaspettata, di inaspettata diversità. Non è Disney World o Times Square. È un posto reale con persone genuine.
Butler e D’Antona presenteranno il volume domani alle 18 nel Cortile del Museo Garda di Ivrea nell’ambito del festival La Grande Invasione; il 5 al Circolo dei Lettori di Torino e il 9 a Milano a Verso libri.
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