Europa

Un film fa paura a Marine Le Pen

Un film fa paura a Marine Le PenCatherine Jacob in «Chez nous», il nuovo film del regista e attore belga Lucas Belvaux

Francia/presidenziali «Chez nous» di Lucas Belvaux smaschera i meccanismi del Fronte nazionale nell'offensiva di seduzione delle classi popolari. Perquisizioni, stato di fermo e interrogatori per due ex assistenti di Marine Le Pen all'Europarlamento. Il centrista Bayrou si allea con Macron, che ottiene anche l'appoggio dell'écolo de Rugy

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 23 febbraio 2017

Un film fa paura al Fronte nazionale. Da ieri nelle sale francesi, Chez nous del regista belga Lucas Belvaux (sceneggiatura scritta con Jérôme Leroy, grande conoscitore dell’estrema destra) raccontando la storia di un’infermiera dell’ex zona mineraria nel nord della Francia, una brava persona benvista da tutti che viene reclutata da un partito di estrema destra, mette in luce i meccanismi del doppio discorso del Fronte nazionale, che riesce a sedurre le classi popolari. Addirittura «emuli di Goebbels» per il deputato “marinista” Gilbert Collard.

Il film smaschera Marine Le Pen (il personaggio interpretato da Catherine Jacob è a lei che si ispira) e il suo «discorso populista»: «Perché alcune persone votano contro i loro interessi? – si chiede Belvaux – perché il voto per il Front national aumenta nelle classi popolari? Come fanno a far aderire alla loro causa persone che sembrano così lontane da ciò che essi sono? Tutto ciò mi stuzzica, mi fa male, la gente aderisce perché c’è negazione, amnesia». L’estrema destra non ha gradito, Florian Philippot, braccio destro di Marine Le Pen, non perde occasione di attaccare Belvaux, «trasuda tanta sufficienza classe» e ieri di fronte a un cinema che aveva in programma Chez nous, a Hénin-Beaumont (dove il sindaco è del Fn), la cittadina evocata nel film, è andata in scena la protesta dell’estrema destra.

A due mesi dal primo turno (23 aprile), ieri c’è stato un chiarimento nella situazione caotica e incerta della campagna.

François Bayrou, leader centrista del MoDem, ha offerto un’alleanza a Emmanuel Macron, per evitare «una dispersione dell’offerta e dei voti», di fronte alla «gravità della situazione» con il rischio della vittoria dell’estrema destra. Bayrou, dopo settimane di incertezza, rinuncia a presentarsi per la quarta volta alle presidenziali e propone a Macron un’intesa, sulla base di 4 punti: una vera alternanza nelle pratiche e orientamenti; la moralizzazione della vita politica e la fine dei conflitti di interesse; protezione per i più deboli e difesa dei salari; più pluralismo al parlamento. Alle primarie della destra, area politica a cui è sempre stato legato (anche se nel 2012 aveva invitato a votare Hollande – posizione che i Républicains non gli hanno mai perdonata), Bayrou si era schierato con Alain Juppé, sconfitto da Fillon. Ma Fillon è impantanato nello scandalo del Penelopegate e «non tutti fanno la stessa cosa» ha sottolineato ieri il leader del MoDem. Bayrou, che forse punta alla carica di primo ministro, più che un grande consenso politico (non più del 6% oggi, nel 2007 era arrivato al 18,5%) porta a Macron l’esperienza di decenni di vita politica, ma anche il peso del passato tirandolo verso la destra dello scacchiere politico. Ma Macron ha ottenuto ieri anche l’appoggio di François de Rugy, l’ecologista che aveva partecipato alle primarie del Partito socialista. La porta è aperta per un allargamento dell’alleanza all’ala socialdemocratica del Ps.

Per il candidato Ps  Benoît Hamon non è una bella notizia, soprattutto perché Macron appare come un unificatore, mentre a sinistra i tentativi di unità per il momento non sono conclusi: difficoltà nella trattativa con Yannick Jadot di Europa Ecologia e porta chiusa di Jean-Luc Mélenchon. L’adesione di Bayrou a Macron non è neppure una buona notizia per François Fillon, che gli ultimi sondaggi hanno dato in recupero, malgrado gli scandali.

Il Fronte nazionale non deve soltanto affrontare lo smascheramento culturale operato dal film Chez nous. Ieri, c’è stato un nuovo capitolo dello smascheramento giudiziario: l’ex guardia del corpo di Marine Le Pen, Thierry Légier, e la sua capo-gabinetto Catherine Griset (nonché ex cognata) sono stati interrogati, in stato di fermo. Devono rispondere dei veri stipendi incassati dal Parlamento europeo per un falso lavoro a Strasburgo (lavoravano in Francia per il Fronte nazionale). Il Parlamento europeo ha chiesto a Le Pen di restituire 339.946 euro. Ieri è stata di nuovo perquisita la sede del Fn, proseguita anche a casa dell’ex guardia del corpo. Per Marine Le Pen è una «cabala politica» montata solo per nuocerle. La leader dell’estrema destra è appena tornata da un viaggio in Libano, dove ha incontrato il presidente Michel Aoun e l’ex capo militare Samir Geagea (entrambi amici di lunga data di Jean-Marie Le Pen) e dove non ha avuto il successo scontato l’operazione di comunicazione di «rifiuto del velo» e del mancato incontro con il gran mufti di Beirut.

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