Un bit di sindacato
Speciale editoria In una bella inchiesta del Nieman Lab di Harvard la «lunga marcia» dei sindacati nelle redazioni più innovative e «mobili» della Rete. Negli ultimi quattro anni oltre 30 testate on line americane hanno visto un vero «boom» di lotte per salari e diritti
Speciale editoria In una bella inchiesta del Nieman Lab di Harvard la «lunga marcia» dei sindacati nelle redazioni più innovative e «mobili» della Rete. Negli ultimi quattro anni oltre 30 testate on line americane hanno visto un vero «boom» di lotte per salari e diritti
L’ultima vittoria è di un mese fa. Il 15 marzo scorso, per la prima volta nella storia, il sindacato è riuscito ad associare gli 83 «giornalisti» di Gimlet Media, un’azienda di Brooklyn che produce podcast scaricati 12 milioni di volte al mese in 190 paesi del mondo.
In redazioni come quella di Gimlet – recentemente acquisita per 230 milioni di dollari dal gigante dello streaming Spotify – ingegneri informatici, giornalisti di tutti i tipi, esperti di social media, speaker radio e produttori video si fondono in tutt’uno. Ruoli e confini sfumano uno nell’altro, in una produzione creativa di contenuti ininterrotta dove stabilire i confini precisi tra una mansione e l’altra è sempre più difficile.
Negli Stati uniti, dove i contratti nazionali sono di fatto sconosciuti, vige solo la contrattazione aziendale, e sono i lavoratori a decidere in un referendum interno se e con quale organizzazione associarsi per le proprie rivendicazioni.
Mentre in Italia il mondo digitale è ancora un totale far west di diritti, salari e mansioni, oltre Oceano si costruisce l’impensabile: tutelare sindacalmente staff creativi multimediali giovani, «dinamici» e ultra flessibili.
Dal 2015 a oggi il sindacato è riuscito a entrare in dozzine di testate digitali grandi e piccole (vedi sotto), con una marcia che ha dell’incredibile per occhi europei, dove il «precariato» dilaga nei vecchi e nuovi media.
L’impresa è tanto più sorprendente se si considera che in America i giovani «giornalisti» digitali (nel senso più lato possibile del termine «giornalista») sono in generale molto individualisti, desiderosi di un proprio «brand personale», sempre alla ricerca di posizioni migliori e di aziende più solide.
Il turnover nei giornali on line sulle due coste è frenetico, sia in entrata che in uscita, in una instabilità perenne che dipende dalle grandi scelte in termini di algoritmi, big data, coinvolgimento di pubblici sempre più grandi e più segmentati.
Tuttavia, per dirla con Hamilton Nolan, ex reporter di Gawker, «il sindacato è l’unico meccanismo reale esistente per rappresentare gli interessi dei lavoratori in un’azienda».
E infatti in questo panorama pensare al sindacato non è roba da giurassico. Perché – con qualche sorpresa dal lato padronale – il sindacato tra le due coste è un po’ un «agente» del capitalismo.
In altre parole, nelle redazioni sindacalizzate si lavora meglio, i talenti arrivano e soprattutto restano, i lettori leggono di più e più a lungo, gli azionisti incassano.
Non a caso, sebbene siano relativamente pochi i lavoratori sindacalizzati (1 su 10), negli Usa il consenso per i sindacati è ai massimi storici nell’opinione pubblica: 62% in media, con il picco di approvazione massima (ben il 65%) nella fascia d’età 18-34 (dati Gallup 2018).
Il racconto di questa «lunga marcia» sindacale digitale si può trovare nell’inchiesta più completa uscita finora sull’argomento, (Why Newsrooms Are Unionizing Now) firmata il 21 marzo scorso per il Nieman Lab di Harvard da Steven Greenhouse, un veterano del NyTimes.
Da Gawker fino a un gigante dei «vecchi media» come il Los Angeles Times (vedi qui l’articolo di Celada) è una storia di negoziati su temi arcaici per i giornalisti europei (negli Usa, ad esempio, non esistono sanità e maternità pagate) ma anche impensabili: diritto d’autore secondario, tipi e durata delle clausole di esclusiva, difesa dai contenuti «sponsorizzati», criteri non arbitrari né automatici per le promozioni e gli aumenti salariali, incentivi alla diversità (di «razza» o di orientamento sessuale) nelle redazioni.
«Oggi – spiega Grant Glickson, presidente del sindacato NewsGuild di New York – non facciamo più differenze per giornali digitali o di carta, per noi sono la stessa cosa».
E se nei media tradizionali il ricorso al sindacato nasceva da licenziamenti selvaggi e crisi strutturali, nei nuovi media le ragioni non sono meno urgenti: portare razionalità ai salari (in zone in genere molto costose come la Bay Area o New York), ammortizzare gli alti e bassi economici di un settore estremamente volatile, in cui chiusure e acquisizioni sono all’ordine del giorno e nessuno può realmente predire cosa «funzionerà» in Rete domani.
Un settore in «boom» ma anche in «sboom». Negli ultimi mesi, i media digitali Usa hanno visto una mattanza da 2.400 licenziamenti (quasi 500 solo in giganti come BuzzFeed e Vice). Uno tsunami simile a quello che travolge da un decennio i vecchi giornali.
David Chavern, presidente della News Media Alliance che rappresenta 2mila testate Usa, alza le mani: «Non siamo né a favore né contro il sindacato, per noi la sfida di mercato maggiore è rappresentata dalle piattaforme e in particolare da Facebook e Google», spiega a Greenhouse.
D’altra parte, replica a distanza il sindacalista Nastaran Mohit della NewsGuild di New York, «c’è una generazione di giornalisti che non ne può più di un’industria che richiede il martirio e ti obbliga a orari infiniti, competenze sempre più specialistiche e bassi salari».
In questo contesto super competitivo e in perenne evoluzione, il sindacato sembra l’uovo di Colombo. Soprattutto quando si adatta a tempi nuovi. Anche con modalità di lotta che possono sembrare buffe dalle nostre parti, come il walkout dalle redazioni (si esce tutti insieme per un’ora), si va al lavoro tutti con la maglietta del sindacato, si fanno picchetti e volantinaggi in piazza (sconosciuti gli scioperi), pupazzi gonfiabili (tipo mettere fuori dalla redazione un enorme topo che più o meno rappresenta l’editore).
Accanto a queste forme, ce ne sono almeno due più radicali: inchieste giornalistiche approfondite e spietate sui propri padroni super miliardari diffuse sui social nel bel mezzo delle trattative e l’uso creativo di tutte le forme di comunicazione con il pubblico possibili immaginabili per informarlo delle proprie richieste e dei propri problemi.
Quanta differenza con la tradizionale «prudenza» per cui qui da noi i giornalisti preferirebbero morire piuttosto che scrivere un articolo obiettivo sui problemi del proprio giornale o tg, per non parlare delle difficoltà generali o delle ingiustizie nella «categoria».
Scambiarsi pratiche e metodi tra le redazioni al di qua e al di là degli oceani potrebbe migliorarle entrambe.
Sempre più spesso, infatti, la lotta per salari e condizioni di lavoro migliori coincide con quella per un giornalismo migliore.
Non è impossibile ipotizzare che i lettori, se informati con lealtà, accuratezza e obiettività sulla posta in gioco, decideranno da che parte stare.
Scheda
/Tre passi per vertenze di successo
Sebbene la percentuale di lavoratori iscritti al sindacato sia la più bassa della storia degli Usa, nei nuovi media digitali il trend è decisamente in controtendenza.
Dal 2015 a oggi, oltre 30 testate on line (da Vice a Buzzfeed, dall’Huffington Post a The Intercept) hanno visto un boom di sindacalizzazione, con diversi negoziati andati a buon fine, che hanno migliorato salari e tempi di vita nelle redazioni.
Come ci sono riusciti? La riscossa consiste in tre passi:
- i lavoratori devono acquisire una coscienza collettiva dietro cui mobilitarsi;
- il sindacato deve convincerli che è possibile negoziare condizioni di lavoro migliori;
- i lavoratori devono essere pronti ad assumersi dei rischi durante la trattativa.
Pragmatici come sempre, gli americani stanno mettendo a punto metodi di lavoro e di lotta che possono essere adottati in tutte le situazioni di precarietà, difficoltà economica o difficile sindacalizzazione.
La prima cosa – scrivono Masters e Gibney, due ricercatori presso la Wayne State University e la Penn State University – è che i sindacati ascoltino davvero i lavoratori, comunichino regolarmente con tutti, trasmettano un senso di speranza, spieghino i benefici concreti che possono essere ottenuti.
Uno strumento chiave e ormai imprescindibile anche per le lotte sindacali sono i social network, che vengono usati in modo molto aggressivo per avvisare lettori e pubblico della posta in gioco nella vertenza «digitale».
Il secondo passo, cioè la vertenza vera e propria, dovrebbe essere chiusa rapidamente. Meglio un primo contratto aziendale che nessun contratto (o solo contratti individuali, come prassi in America e nel dotcom in particolare).
A volte già le prime conquiste sono notevoli, considerando che negli Usa, ad esempio, non c’è la maternità e che spesso ci sono clausole di non concorrenza in caso di licenziamento molto penalizzanti per i lavoratori che si vogliono ricollocare altrove.
L’ultimo passo è informare, informare, informare. Far capire alle altre corporation e redazioni non sindacalizzate che la musica è cambiata.
Due organizzazioni in lotta per i «giornalisti 2.0»
Il sindacato più rappresentativo tra i giornalisti americani è la storica NewsGuild (nuovo nome della Newspaper Guild nata nel 1933, newsguild.org), che rappresenta più di 25mila giornalisti impiegati presso oltre 200 editori.
Fino a dieci anni fa, questo sindacato si concentrava nelle testate tradizionali e scontava una evidente arretratezza nella comprensione e nell’organizzazione dei nuovi media digitali.
E qui è entrato in gioco il secondo attore principale, la più piccola Writers Guild East (wgaeast.org, 4.700 iscritti), una sigla tradizionalmente associata al mondo dell’audiovisivo, del cinema e della tv.
Quest’ultima ha visto nei media digitali un campo di azione naturale e ha concluso la sua prima vertenza di successo tra i 118 giornalisti della redazione di Gawker nel 2015 (Gawker ha poi chiuso l’anno seguente per lo storico risarcimento danni vinto dal «re del wrestling» Hulk Hogan).
Entrambe queste sigle negoziano anche per i freelance e, ormai, non vedono più distinzioni di nessun tipo tra i media in cui i propri iscritti lavorano.
La Fnsi in Italia
In Italia il sindacato autonomo, unico e unitario dei giornalisti è la Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi).
Nata nel 1908 e rifondata nel 1943, è una libera associazione sindacale, cui aderiscono le associazioni regionali dei giornalisti.
La Fnsi difende la libertà di stampa e la pluralità degli organi di informazione, tutela diritti e interessi dei giornalisti.
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