Un alluvionale flusso di parole per parlare del Settantasette
Saggi Riflessioni su uno strano movimento «77, e poi» di Oreste Scalzone per Mimesis. Il volume sarà presentato al Book Pride di Milano
Saggi Riflessioni su uno strano movimento «77, e poi» di Oreste Scalzone per Mimesis. Il volume sarà presentato al Book Pride di Milano
Iniziate a leggere 77, e poi… (Mimesis, pp. 334, euro 20.00) con l’animo di chi si accinge ad affrontare un consueto saggio storico o politico, e vi ritroverete presto con le mani tra i capelli, sommersi da una cascata di parole, travolti da rapide vorticose in cui le digressioni si moltiplicano e i salti logici si fanno turbinosi. È un libro che parla di politica, di storia e di rivoluzione.
Solo che Oreste Scalzone, 70 anni di sovversione appena compiuti e senza un solo attimo di pentimento, tratta la materia come Charlie Parker adoperava il sax, sta alla saggistica come il Jack Kerouac di Visioni di Cody stava alla letteratura. È un alluvionale flusso bop di ragionamenti, analisi, ricordi, aneddoti, intuizioni, invenzioni linguistiche. Ci vuole freddezza per non perdersi e scoprire che, come lo stesso Oreste giura, in quella follia c’è del metodo. Ci vuole metodo anche nel leggere.
Ai fatti del ’77 propriamente detto nonostante il titolo Oreste dedica poco spazio. A colmare il vuoto, osservando quei fatti soprattutto nel loro riflesso mediatico, provvede il saggio finale di Pino Casamassima, un autore che volume dopo volume sta ricostruendo la verità di quegli anni.
IL LIBRO, del resto, doveva uscire dieci anni fa sotto forma di intervista di Pino a Oreste. Non se ne fece niente ma quei materiali, aggiornati, rielaborati e rimontati, sono la materia prima del volume che esce ora e al quale altri due dovrebbero seguire.
Ma quel richiamo all’anno della grande frattura non è ingannatore. Il 77 è davvero il protagonista assoluto di questo libro perché rappresenta la pietra di paragone a partire dalla quella Oreste racconta e analizza il prima e il dopo: lo spartiacque.
È a partire dal ’77 che rievoca un ’68 del quale nega la vulgata superficiale e tardopasoliniana che lo vorrebbe movimento di rampolli della borghesia in giovanile libera uscita ma che, con ben maggiore profondità, indica come opposto al ’77 in quanto movimento che, prima dell’esplosione delle fabbriche, si batteva «per altri» in nome di un principio di giustizia e non «per sé», come sarà invece per i ragazzi senza futuro del ’77.
Ed è ancora nel ’77 che si compie definitivamente la frattura tra un Movimento Operaio tradizionale che esalta il lavoro e i valori «sani» della classe operaia e quello che Oreste definisce «un movimento di operai anti-operaio», che rifiuta la condizione operaia. Condizione, peraltro, non più confinata nei capannoni delle fabbriche ma che proprio in quello snodo inizia a dilagare ovunque, costituendo quella figura che Toni Negri, con intuizione di cui Scalzone riconosce in pieno la puntualità, definiva allora «operaio sociale».
L’ANEDDOTICA, tanto impastata con la riflessione che nemmeno il principe degli alchimisti riuscirebbe a separare i due elementi, è altrettanto ricca. A volte comica, come quando un visitatore si ferma a parlare con l’autore, ospite nella clinica di Deleuze e Guattari, e poi racconta: «Figurarsi, qui c’è addirittura uno convinto di essere Oreste Scalzone!». Altre volte drammatica, come quando Oreste e Bellini si piazzarono da soli lungo la linea del fuoco cercando di impedire la sparatoria che si concluse con la morte del vicebrigadiere Custrà, il 14 maggio ’77 a Milano. Spesso storicamente importante, come quando Oreste svela le ragioni dello scioglimento di Lc nel ’76: non solo la rivolta delle donne quanto l’impossibilità di tenere a freno le aree armate che di lì a poco avrebbero dato vita a Prima linea.
IN QUESTA RIEVOCAZIONE quanto mai attuale il ’77 risalta come l’avvio di una rivoluzione nella testa dei rivoluzionari, quella che porterà molti ad abbandonare la visione della rivoluzione come presa del potere per sostituirla con una concezione opposta, mobile e anarchica, tesa a liberarsi dal potere più che a conquistarlo. Un’idea di rivoluzione ancora approssimativa, appena accennata, come è giusto che sia perché l’epoca inaugurata dal ’77, e di cui il 77 è stata solo l’ouverture, è in fondo appena cominciata. Se Oreste è il Charlie Parker del pensiero rivoluzionario, il suo libro dovrebbe chiamarsi davvero Now’s The Time. Ora, non quarant’anni fa.
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