Le scrittrici italiane (e non solo italiane) hanno dato un notevole contributo al romanzo storico, qualunque sia la definizione critica – neoromanzo storico, biofiction e altro ancora – che si voglia dare a un genere letterario che attraversa la contemporaneità in modo costante e duraturo. Lo hanno fatto in modo originale e particolare: se per le letterature europee il riferimento fra i molti è a Marguerite Yourcenar e Christa Wolf, tanto per fare qualche nome esemplificativo, nella letteratura italiana non sempre adeguatamente riconosciuti nomi e opere come quelli di Maria Bellonci, che scava le origini della modernità con il suo Lucrezia Borgia del 1939, di Artemisia di Anna Banti, che dal bombardamento di Firenze si volge alla figura di artista, oggi così nota anche grazie al vibrante ritratto che Banti ne fece; mentre Dalla parte di lei di Alba de Céspedes si interroga sulle ragioni di una stagione storica come il fascismo e la resistenza visti con gli occhi della sua protagonista e voce narrante, Alessandra, che all’indomani della conclusione della guerra si confronta con un sogno di felicità e riscatto al quale il dopoguerra non darà risposte, portandola a compiere un atto che simbolicamente uccide il patriarcato.

MOLTE, INFATTI, le narrazioni di scrittrici che riattraversano la storia del Novecento in modi diversamente epici, per riprendere una definizione di un volume della Società Italiana delle Letterate (Epiche, a cura di Paola Bono e Bia Sarasini, Iacobelli, 2014), che ha interloquito anche con la categoria del New Italian Epic del gruppo Wu Ming: L’arte della gioia di Goliarda Sapienza ha inizio simbolicamente la notte del primo gennaio 1900; Il gioco dei regni di Clara Sereni riattraversa le questioni dell’ebraismo, poi del sionismo, e del comunismo in Italia nel corso del Novecento e sulla sua scrittura è stato recentissimamente pubblicato un volume a lei dedicato per le cure di Simone Casini, Puma Valentina Scricciolo e Fabrizio Scrivano (ali&no editrice); per arrivare ai numerosi romanzi storici di Maria Rosa Cutrufelli, fra tutti D’amore e d’odio, del 2008, sulla storia italiana del Novecento.

Tra i titoli più efficaci per rappresentare il difficile e complesso rapporto delle personagge con la storia del Novecento quello del libro di Anna Negri, Con un piede impigliato nella Storia, pubblicato per la prima volta nel 2009, oggi meritatamente riedito da Deriveapprodi (pp. 320, euro 20, prefazione di Cristina Piccino).

Molte le definizioni che si possono dare di un testo che racconta la complessa vicenda del processo del 7 aprile 1979, ferita mai rimarginata del castello accusatorio che negli anni Ottanta del Novecento mise fine a una stagione di lotte di cui mai si era visto l’eguale in Italia: testimonianza, memoir, autobiografia, molte le possibili definizioni per questo volume, ma anche romanzo che storicizza con la propria narrazione quanto avvenuto in una stagione italiana vissuta in prima persona in quanto l’autrice è figlia di Toni Negri, ma guardata nel suo acre dipanarsi tra le carceri e i processi a partire da sé e dal proprio crescere e divenire donna in una stagione politica che, con difficoltà ancora oggi, riconosce al femminismo della liberazione lo statuto di unica rivoluzione riuscita.

SI TRATTA DI UNO SGUARDO apparentemente marginale, ma particolarmente efficace perché lo sguardo bambino che narra, a partire dal prologo nel maggio 1977, che cosa accadde con la stagione delle leggi dell’emergenza produce, lo ha scritto bene Ida Dominijanni nel 2009 su questo giornale «un nuovo punto di vista che modifica la prospettiva». Perché leggere quegli anni attraverso le vite e i corpi di quante e quanti vennero travolti dal teorema Calogero, che prende il nome dal giudice che diede il via a quell’ondata di arresti che mise in galera una generazione politica, rende come nulla d’altro mai il senso di quanto accadde in un decennio cruciale per la stagione politica in cui ci troviamo a vivere i frutti avvelenati di una lunga storia.

E che vale leggere oggi proprio per la sua capacità di essere romanzo – e quindi narrazione, non testimonianza o almeno non solo, non solo memoir, né pure autobiografia –, e romanzo storico per gli interrogativi che pone alla storia e alla possibilità di ricostruire un’epoca e una stagione in cui la politica è stata gioia e passione condivisa, oltre che patimento, fatica, impegno allo spasmo, ma sempre condivisi.
Quando ciò è venuto meno si è continuato a guardare indietro piuttosto che avanti, come invece è costretta a fare, pure con immenso dolore e rischio di perdersi, la protagonista Anna, il fratello e tutta le generazioni venute poi.

CORPI E VITE diversamente raccontati, quando raccontati, da Toni Negri nella sua autobiografia in più volumi, tutti pubblicati dopo Con un piede impigliato nella Storia (Storia di un comunista, 2015; Galera ed esilio, 2017; Da Genova a domani, 2020, a cura di Girolamo De Michele per Ponte alle Grazie) e che con esso quasi sembra non dialogare, se non per un filo intimo e molto riservato che corre sommesso nella narrazione del padre ed è bene che sia così, perché certamente differenti i toni e gli scopi delle due scritture.

Ciò si comprende fin dalle prime pagine del libro di Anna Negri, in cui la voce narrante prende coscienza dell’avere un corpo di donna poco prima di essere operata d’urgenza d’appendicite e due medici, pensandola già sotto anestesia, sollevano il lenzuolo che la copre dicendo: «Dodici anni. Sembra più grande, vero? Pensa che non è ancora mestruata». A scandire la narrazione le date: Padova 1968-72, Milano Assicurazioni 1972-1975, Latitanza 1977-1978, e così via fino alla Maturità 1982-83 che coincide con la scarcerazione del padre, dopo anni di viaggi verso carceri lontanissime e difficili da raggiungere, di solitudine e di abbandono da parte di genitori pure affettuosissimi ma in altro impegnati allo spasmo tra galera e difesa legale, e una comunità politica che si andava sfaldando.

Una storia fatta di personale che è politico e lo diviene tanto più nel modo con cui lo svolgersi di eventi simbolici (ma non solo ovviamente) si intreccia alla propria, ad esempio attraverso la notizia e il processo del massacro del Circeo, la morte di Pasolini percepita come una ferita insanabile, e i primi episodi di una vertigine esistenziale che poi Elena Ferrante chiamerà ’smarginatura’: «Un pomeriggio mi sono alzata dalla sedia da camping e improvvisamente non ho più saputo chi ero, cosa ci facevo lì, chi erano le persone che mi circondavano. (…) Era una vertigine molto prolungata, come un’esperienza extracorporea, quelle in cui ci si vede distesi sul letto dal soffitto».

In realtà molto corporea, se nella narrazione non è una vita astratta quella che fa i conti con la Storia impigliandovisi continuamente, ma quella di una ragazzina che diviene donna passando attraverso la percezione di sé e del proprio corpo come un elemento problematico passabile di palpeggiamenti e tentativi di violenza, da cui riscattarsi grazie alla propria capacità di reazione, le amiche, e una genealogia di donne forti come le madri che riescono a scherzare, mentre attendono in un agosto caldissimo di entrare con i bambini in carcere per l’incontro con i compagni e padri dei loro figli: «Certo che si sta bene a Rebibbia Beach» e da quel momento invece di dire andiamo in prigione a trovare papà si diceva ci vediamo a Rebibbia Beach.

Rossana Rossanda durante il processo “7 aprile”

QUEL GIORNO, scrive Anna Negri, «mi è parso tutto chiaro: gli uomini prima facevano la rivoluzione lasciando le donne a casa ad accudire i figli, poi venivano messi dentro ed erano sempre le donne a crescere i figli, a lavorare, ad occuparsi dei mariti in carcere (…). Erano loro le vere rivoluzionarie, quelle che paravano i colpi, che preservavano, che andavano avanti». In una lettera al padre la protagonista scrive che pensa di avere un piede impigliato nella Storia che le impedisce di correre verso la sua vita, ma di fatto le va incontro, perché anche se nessuno sceglie la Storia cui appartenere ci sono molti modi per stare in essa interamente. Come accade alla protagonista di un altro recente e bellissimo romanzo storico a firma di Savina Dolores Massa, Voltami (Il Maestrale 2022), dedicato alla figura realmente esistita di Anna Coleman Ladd.

Affermata ritrattista e scultrice statunitense, dopo la prima guerra mondiale si dedicò a creare maschere facciali di rame dipinte per i soldati sfregiati dai gas e dalle bombe. Nella nota conclusiva, Savina Dolores Massa scrive che il romanzo «è frutto dell’immaginazione avvinghiata alle notizie storiche». È così è per Anna Negri, avvinghiata alla Storia per riuscire infine a vivere anche oltre essa.