La prima attivista perseguita dalla giustizia ordinaria per aver favorito l’aborto fornendo pillole abortive non ci sta. Justyna Wydrzynska è stata condannata la settimana scorsa in primo grado da un tribunale varsaviano a otto mesi di servizi sociali per 30 ore al mese ma annuncia battaglia in aula: «Era chiaro sin dall’inizio che si tratta di un processo politico. La magistrata assegnata al mio procedimento è stata scelta direttamente dal procuratore generale e ministro della giustizia Zbigniew Ziobro. Durante l’ultima udienza la giudice ha confermato che la decisione su questo caso era stata presa da tempo. Il giorno dopo è arrivata poi la notizia che questa persona è stata ’promossa’ a un incarico più importante presso la corte di appello», racconta l’attivista polacca.

IL «SUPERMINISTRO alla giustizia» Ziobro è anche il numero uno del partito ultra-conservatore Solidarna Polska (Sp), fautore della linea dura con Bruxelles nel conflitto pluriennale su stato di diritto e riforma della giustizia. La Sp fa parte della coalizione di governo guidata dalla destra populista di Diritto e giustizia (Pis). I fatti per cui è stata incriminata Wydrzynska risalgono al luglio del 2020 quando Anna non avendo la pillola abortiva da lei ordinata all’estero si era rivolta alla rete Aborcja bez granic (Aborto senza frontiere) per chiedere un aiuto. Il compagno aveva minacciato di denunciarla quando la donna ha detto che sarebbe andata in Germania per abortire. A quel punto Wydrzynska le ha fornito la pillola, confiscata poi dalla polizia prima che Anna riuscisse a interrompere la gravidanza. Qualche giorno dopo la donna ha abortito spontaneamente.
Il mifepristone, uno steroide sintetico utilizzato per eseguire l’aborto chimico, resta illegale nel Paese sulla Vistola e, di fatto, anche in Ungheria dove il farmaco non è stato ancora commercializzato. Nonostante la Polonia presenti una delle legislazioni sull’aborto più restrittive al mondo non è prevista invece alcuna pena per le donne che decidono di interrompere la gestazione. Non è così invece per chi aiuta ad abortire: fino a 8 anni di carcere per i medici che eseguono l’intervento chirurgico e un massimo di tre per chi aiuta a abortire, un reato quest’ultimo, sanzionato dal codice penale. Wydrzynska è una della fondatrici dell’Abortion Dream Team (Adt), un’organizzazione nata del 2016 in Polonia quando ancora vigeva il «compromesso al ribasso» del 1993 che consentiva di abortire soltanto in tre casi: pericolo per la vita della madre, in caso di stupro oppure quando il feto presentasse malformazioni.

Justyna Wydrzynska in tribunale a Varsavia. Foto Ap

NESSUNO IMMAGINAVA che nell’autunno del 2020 il Tribunale costituzionale filo-Pis avrebbe dichiarato incostituzionale l’aborto terapeutico. «Nel 2016 avevamo fatto un giro della Polonia per parlare di aborto con la società civile. Qualcuno ci aveva definito allora una squadra da sogno. Il complimento è stato ripreso da una certa stampa in Polonia e poi anche all’estero – racconta Kinga Jelinska, antropologa che vive ad Amsterdam e figura chiave della squadra di cui fa parte insieme a Wydrzynska –. Tengo a precisare che l’Adt non distribuisce medicine sottobanco per eseguire l’aborto in Polonia. Chi ha difficoltà a procurarsi farmaci abortivi e anticoncezionali si rivolge a Women Help Women (Whw) una rete registrata in Olanda e presente in 17 paesi, di cui sono la direttrice esecutiva. Le pillole vengono spedite in Polonia e negli altri stati in cui sono illegali direttamente dall’estero. Almeno 44.000 donne si sono rivolte a noi per un aiuto nel 2022. La maggior parte delle quali non avendo superato la dodicesima settimana di gravidanza ha abortito con il metodo farmacologico a casa con le medicine da noi fornite. L’anno scorso abbiamo anche aiutato 1.500 donne a praticare l’aborto chirurgico in trasferta. Whw ha sostenuto per queste persone le spese di viaggio, alloggio, servizi di traduzione nonché i costi dell’intervento in clinica. La meta più gettonata resta l’Olanda visto che lì l’interruzione volontaria di gravidanza viene praticata dai medici fino alla ventiduesima settimana».

PER JELINSKA e le altre componenti dell’Adt la solidarietà femminile è una questione trasversale: «Anche le ragazze possono rivolgersi a noi. Non ci poniamo limiti di età. La più giovane che abbiamo aiutato aveva 14 anni». Le attiviste di Whw non chiedono mai alle persone che hanno bisogno di un aborto come sono rimaste incinte o il motivo per il quale vogliono interrompere una gravidanza. L’Adt è impegnato in prima linea anche in campagne di sensibilizzazione sulla contraccezione di emergenza. Anche su questo fronte la situazione lascia molto a desiderare in Polonia visto che pillola del giorno dopo è legale ma soltanto con ricetta medica. Teoricamente il diritto all’obiezione di coscienza in Polonia è riconosciuto ai medici ma non ai farmacisti. Una volta ottenuta la ricetta il gioco è fatto ma le difficoltà restano enormi: «Bisogna aspettare quindici giorni per prenotare una visita con un ginecologo del sistema sanitario polacco. Troppo tardi per sperare che la pillola del giorno dopo possa avere una qualche utilità. Le donne sono allora costrette a rivolgersi a gabinetti privati per ottenere una prescrizione medica. Qui ci sono barriere assurde che rendono davvero difficile l’accesso a un farmaco che, in alcuni stati, è invece disponibile persino nei negozi di cosmetici», spiega ancora Jelinska.

DOPO IL VERDETTO CHOC del Tribunale costituzionale le cose sono cambiate notevolmente per le attiviste dell’Adt: «Siamo state bombardate da richieste di aiuto. Il traffico sulle nostre linee telefoniche è triplicato. Con la messa al bando dell’aborto terapeutico in Polonia si eseguono ormai soltanto un centinaio di interruzioni di gravidanza all’anno. Più o meno lo stesso numero di aborti che Whw riesce ad organizzare in un solo giorno».
Wydrzynska invece non si arrende ma non vuole nemmeno farsi troppe illusioni: «Ho intenzione di presentare ricorso dopo aver ottenuto la motivazione della sentenza. Almeno 15 dei 22 magistrati che compongono la corte d’appello sono dei ’neo-giudici’, ossia sono stati nominati dal Consiglio nazionale della magistratura (Krs), i cui membri vengono scelti direttamente dal potere politico. La speranza è che l’appello non venga assegnato a un neo-giudice. Soltanto così si può pensare a un ribaltamento del verdetto».