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L’ultimo saggio di Bandiagara

L’ultimo saggio di BandiagaraMaschere tradizionali dogon durante il rito di passaggio dama a Tireli, nel Pays Dogon, in Mali – Getty Images

Mali Nel Paese alle prese con i militari al potere, il radicalismo jihadista, le tensioni interne e lo scontro con la Francia, l'antica attitudine a mediare fra varie istanze sembra un lontano ricordo. La lezione di Ambaéré André Témbély, massimo custode delle tradizioni dogon e del dialogo interculturale, scomparso lo scorso dicembre. Iniziato ai segreti delle "Maschere di legno", fu poi tra i primi a ricevere il battesimo nella regione

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 3 febbraio 2022

Da settimane, il Mali è alla ribalta delle cronache per l’instabilità che lo caratterizza, analogamente agli altri stati sahelo-sahariani nelle mani dei militari (Burkina Faso, Ciad, Guinea-Conakry).

La pretesa della giunta di Bamako, al potere dall’agosto 2020, di ritardare le elezioni democratiche per ulteriori cinque anni, al fine di lottare contro il radicalismo jihadista e consolidare le istituzioni, ha acuito le tensioni. Il 9 gennaio scorso la Cedeao (Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale) ha così sanzionato il paese con durezza: blocco dei suoi averi, sospensione delle transazioni commerciali e finanziarie, chiusura delle frontiere. Dietro tale politica, denunciano in tanti, vi sarebbe la Francia, indispettita dalla presenza di mercenari russi (gruppo Wagner) sul territorio e dalla condotta poco diplomatica del governo di transizione del colonnello Assimi Goïta.

L’INCAPACITÀ DI DIALOGO domina la scena, con accuse reciproche di arroganza e intromissione. Bamako si ritiene lesa nelle sue prerogative sovrane; mentre la Cedeao è denigrata dai detrattori quale «sindacato dei molti presidenti africani che, allo scadere del secondo mandato, indicono referendum popolari e cambiano la costituzione pur di rimanere in sella». Tale intolleranza cozza con un elemento tipico della cultura nell’area: l’attitudine a mediare fra le varie istanze.

 

Un percorso in controtendenza: Ambaéré André Témbély

Per questo, in contrasto con la “grande politica”, appare necessario lo sforzo di ritrovare, nel patrimonio autoctono, modalità e profili esemplari, in grado d’indicare la strada da percorrere, nel segno del rispetto. Un modello, al proposito, è offerto da un grande saggio, Ambaéré André Témbély (AAT), celebre cultore tradizionale del Pays Dogon, che si è spento, novantenne, nel mese di dicembre. Figura di pace e mediazione, questo personaggio ha dedicato la vita al sapere umanistico, da intendersi in senso ampio: esperienza personale, apprendimento di lingue e culture diverse, inchieste sul campo, riflessione religiosa, lettura e scrittura di testi a carattere etnologico per tramandare le credenze e gli usi del suo popolo.

Con molti AAT ha condiviso le proprie conoscenze, a cominciare dai Padri Bianchi negli anni 1950, sino, ben più di recente, ai responsabili della «Mission Culturelle de Bandiagara» e dell’«Association Ginna Dogon».

 

I ricordi d’infanzia: la scuola francese e l’iniziazione dogon

Vediamo come lui stesso si presenta nel volume Les dogon: procès pénal traditionnel et justice réparatrice di Marcello Monteleone (2009), a cui ha collaborato. La sua testimonianza permette di cogliere l’attaccamento per la terra natia e di reperire le tappe che – per lui – hanno contraddistinto un passaggio dall’ambito tradizionale alla modernità connotato dalla volontà di leggere, nelle differenze, un’occasione di crescita.

Ecco le parole di AAT: «Il mio nome è stato scelto dai vecchi della guinna (stirpe dalla quale discendono più famiglie; casa patriarcale cui è annessa la terra, ndr). Il paese di Pélou, dove abitavo coi miei genitori e i miei cinque fratelli, era in adobe e pietra. Ricordo che, di notte, si accendeva il fuoco nel cortile e gli anziani raccontavano storie. Quando compii 6 anni, uno zio materno mi adottò e mi traferii per andare a scuola a Bandiagara. I miei genitori non avevano idea dell’importanza della scuola. Papà non voleva che la frequentassi. Arrivò a offrire denaro a un amministratore per farmela evitare. Diceva che c’erano gli insegnamenti ancestrali e che dovevo seguire quelli».

La scuola francese corrisponde, per AAT, a una prima frattura rispetto alla cultura di origine e lo apre a conoscenze inedite per i suoi. L’intervento paterno lo rinvia però alle origini: «Con la circoncisione, fui ammesso nella classe di età dei ragazzi. Avevo solo 12 anni, eppure percepii la responsabilità di tale condizione e il dovere di far progredire la mia famiglia. Lasciai la scuola e, a Pélou, imparai a coltivare la terra. Quindicenne, venni introdotto ai segreti delle “Maschere di legno”».

IL PROCESSO DI FORMAZIONE prosegue per fasi intermittenti e dura vari anni: «Ricordo quei giorni, con i loro dolorosi rituali. Quando, alla fine, mio fratello maggiore mi chiese: «È andato tutto bene?». Risposi semplicemente: «Sì». Ero un dogon. Non ci fu bisogno di altro. All’epoca, pensavo di seguire la via indicata da mio padre: conoscere la tradizione, faticare nei campi e diventare una persona coraggiosa. A 23 anni, partii per Ségou. Rimasi lì più di un anno, lavorando. Al rientro, mi sposai».

 

L’adesione al cattolicesimo coniugata alla tradizione

Siamo alla metà degli anni 1950 e i Padri Bianchi ambiscono a inserirsi in un territorio ancora ostico al messaggio cristiano. L’amministrazione coloniale non cela le sue preferenze per un ordine religioso tramite il quale verrebbe favorita l’alfabetizzazione dei villaggi e migliorato il controllo sul distretto. Permette così ai Padri di fondare un centro a Bandiagara. Il bisogno di contatto con la gente e di promuovere la fede circolando per l’altopiano, spinge i missionari a cercare interlocutori «indigeni», in grado di tradurre le loro parole e di fungere da apripista. AAT sarà uno dei primi battezzati e il primo catechista in assoluto ad essere educato per operare nella regione.

Spiega: «Tutto era partito dalla visita di padre Jean Léger al mio villaggio. Disse che cercava un interprete e, dato che io parlavo francese e dialetto donno-so, voleva il mio aiuto. Cominciai a girare con lui di borgo in borgo. Lui parlava, io traducevo. Imparai molto. Non pretese di convertirmi. Lo feci di mia volontà nel 1958. Completata l’istruzione di base, ottenni una medaglietta: era il riconoscimento per quanti accettavano il battesimo».

LA DOPPIA IDENTITÀ ASSUNTA è rappresentata dall’adozione di un secondo nome: a quello tradizionale di Ambaéré si aggiunge quello cattolico di André. Ma non si tratta di rinnegare alcunché, bensì di cumulare strati, nonostante qualche inevitabile frizione e apparente incoerenza. L’idea che anima AAT è di mediare fra le credenze e lo dimostra quando sceglie di celebrare due volte le sue nozze: la prima, in modo consuetudinario, a Pélou e l’altra, in chiesa, a Bandiagara. Non siamo dunque di fronte a un évolué, termine che – al tramonto dell’era coloniale – designa quanti recidono le proprie radici, ma a una persona che pretende consapevolmente di coniugare in sé mondi diversi.

 

Ambaéré André Témbély (AAT) di fronte alla sua “guinna” familiare nel 1960

 

Certo, possiamo chiederci, se sia stato agevole, per AAT, vivere a cavallo di due realtà, arrotondando gli angoli e sfuggendo a possibili anatemi. La problematica emerge da una confidenza resa in età avanzata: «Dopo l’iniziazione alle Maschere, mi ero sentito integrato nella cultura del mio popolo; anche se, per coerenza con la nuova fede, vendetti la testa della mia Maschera, contribuendo col ricavato all’edificazione di una chiesa».

Il gesto non è neutro e AAT ne subisce le conseguenze, poiché gli verrà negato il diritto di accedere ai livelli più alti del patrimonio di conoscenze segrete dei dogon. L’esclusione lo amareggerà; nondimeno, col distacco degli anziani che si piegano ai disegni del destino, conclude: «Ritenevo che, nell’insegnamento cristiano, ci fosse lo stesso senso di solidarietà della tradizione e ambivo a dare il mio sostegno. Non mi sono mai pentito: ho compiuto il mio dovere. Ma non ho dimenticato la tradizione. Quando andavo nei villaggi dell’altopiano e della falesia, chiedevo sempre spiegazioni. Intendevo conservare la mia cultura e la fede negli antenati».

Ambaéré André si è spento a Bandiagara l’11 dicembre 2021 ed è stato sepolto con funerale cattolico, senza manifestazioni pubbliche di cordoglio: troppo rischioso, oggigiorno, celebrare il coraggio di una figura aperta al dialogo interculturale.

Errata Corrige

Nel Mali alle prese con i militari al potere, il radicalismo jihadista, le tensioni interne e lo scontro con la Francia, l’antica attitudine a mediare fra varie istanze sembra un lontano ricordo. La lezione di Ambaéré André Témbély, massimo custode delle tradizioni dogon e del dialogo interculturale, scomparso lo scorso dicembre. Iniziato ai segreti delle “Maschere di legno”, fu poi tra i primi a ricevere il battesimo nella regione

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