L’Unione Europea e i suoi stati membri coordinano le operazioni di intercettazione dei rifugiati realizzate dalla cosiddetta «Guardia costiera libica» (Gcl). Non solo formano e finanziano le milizie cui hanno subappaltato il contrasto dei flussi migratori, ma indirizzano operativamente localizzazione e recupero di chi riesce a fuggire dalle coste nordafricane.

Un sistema ben oliato – che coinvolge i centri di coordinamento e soccorso di Roma e La Valletta, gli aerei di Frontex, navi militari e imbarcazioni civili – che ha riportato nei campi di tortura libici migliaia di persone.

Lo dimostra un rapporto redatto da Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, Alarm Phone e Borderline Europe dopo aver raccolto informazioni per mare, terra e aria. Le organizzazioni hanno così accertato l’esistenza dei «respingimenti per procura», uno stratagemma con cui le istituzioni europee bypassano i loro obblighi internazionali nei confronti di naufraghi e rifugiati.

Il dossier sarà presentato oggi alle 18. Al suo interno sono documentati, spiegati e contestualizzati tre avvenimenti Sar, cioè di ricerca e soccorso di imbarcazioni in difficoltà, che le organizzazioni ritengono emblematici della forma che la cooperazione tra Ue e Libia ha assunto dopo la sentenza «Hirsi Jama e altri c. Italia».

Il 23 febbraio 2012 la Corte europea dei diritti dell’uomo condannò l’Italia per aver riportato in Libia un gruppo di cittadini somali ed eritrei dopo averli presi a bordo di una nave militare italiana. «In risposta a questa sentenza decisiva, la Ue e i suoi Stati Membri hanno sviluppato maniere di gestire le migrazioni via mare che implicassero zero contatto fisico con le persone», si legge nel rapporto.

Tutti e tre i casi ricostruiti risalgono alla primavera 2019. Il primo è del 10 aprile. Ci sono 20 persone su una barca in difficoltà partita dalla costa libica di Zuwara. Otto sono già state inghiottite dal mare. Sul posto ci sono due aerei della missione militare europea Eunavfor Med: il Falcon 50 (francese) e il Cotos 45 (spagnolo). Per 12 ore l’imbarcazione non riceve aiuto. Alle imbarcazioni civili nei dintorni non è ordinato di intervenire.

In serata arrivano i libici. Le ong accusano il Centro nazionale di coordinamento marittimo (Mrcc) di Roma di aver rifiutato di assumere la responsabilità dell’evento e, in cooperazione con Eunavfor Med, aver invece coordinato la cosiddetta Gcl.

Il secondo caso risale al 2 maggio. Due natanti di migranti rischiano di affondare. Si trovano nella controversa Sar libica, le autorità europee lo sanno, due aerei sorvolano la scena (Beech B200 maltese; Seagull 19 di Eunavfor Med battente bandiera del Lussemburgo).

C’è anche Colibrì, velivolo dell’organizzazione Pilotes Volontaires che riesce ad ascoltare la comunicazione tra Seagull 19 e i libici. Questi intervengono con la motovedetta Sabratha 654, ricevuta dall’Italia, e catturano i migranti.

Al 23 maggio risale il terzo evento. Un gommone in difficoltà con a bordo 90 migranti è localizzato da Colibrì. Nelle vicinanze c’è la nave militare italiana Comandante Bettica, che invece di intervenire si sta allontanando. I militari rispondono al pilota del velivolo che avrebbero usato l’elicottero di bordo per indirizzare la Gcl.

Quando arriva la motovedetta libica Fezzan 658 i migranti si gettano in acqua nel disperato tentativo di evitare la cattura. Non si può avere certezza che tutti siano stati salvati.

Un episodio simile a quelli elencati era stato denunciato il 12 marzo 2020 da un’inchiesta pubblicata su The Guardian, El Diario e Mediapart da Daniel Howde, Apostolis Fotiadis e Zeach Campbell. Attraverso l’intercettazione delle comunicazioni radio tra il Seagull 75 e i libici, i giornalisti hanno ricostruito nel dettaglio il coordinamento dell’intervento di una motovedetta di Tripoli del 26 marzo 2019.

I casi documentati rappresentano una piccola parte di ciò che accade nel Mediterraneo, dove la presenza della società civile e lo spazio di azione delle ong sono sempre più limitati. Per questo, scrivono le organizzazioni, «le pratiche riportate sono paradigmatiche di un modello molto più pervasivo di comportamento criminale di Stato portato avanti dalle autorità europee».

Queste prassi, infatti, violano diversi trattati che regolano il diritto del mare e la stessa Convenzione di Ginevra, con il suo principio di non-refoulement. Le istituzioni europee ritengono che la delega ai libici sia sufficiente a sollevarle da ogni responsabilità, ma in tanti la pensano diversamente.

«La responsabilità politica è evidente, quella giuridica potrebbe essere accertata presto – afferma Lucia Gennari, avvocata e attivista di Mediterranea – Ci sono diversi procedimenti aperti, davanti a tribunali nazionali e internazionali, che hanno l’obiettivo di far emergere la connessione causale tra l’esternalizzazione del controllo dei flussi migratori e le violazioni del diritto internazionale per dimostrare le responsabilità europee».