«Turn Every Page», amici di penna
Cinema Il documentario di Lizzie Gottlieb sul rapporto tra il padre, editor, e lo scrittore Robert Caro. Due giganti dell’universo letterario americano con una grande complicità
Cinema Il documentario di Lizzie Gottlieb sul rapporto tra il padre, editor, e lo scrittore Robert Caro. Due giganti dell’universo letterario americano con una grande complicità
«Non voglio affrettarlo», dice Robert Caro parlando del quinto – e ultimo – volume della biografia di Lyndon B. Johnson, a cui sta lavorando dalla metà degli anni Settanta (il primo vol. è stato pubblicato nel 1982). «Non importa quanto ci metti a scrivere un libro. L’importante è la durata di quel libro», è un’altra dichiarazione ricorrente dell’ottantasettenne autore di The Power Broker (1974), magnifico ritratto dell’urbanista, politico e gran burattinaio di New York, Robert Moses.
IL TEMPO è, in effetti, il soggetto nemmeno troppo nascosto di Turn Every Page, il film che la documentarista Lizzie Gottlieb ha dedicato al rapporto tra Caro e il suo editor da cinquant’anni a questa parte, Robert Gottlieb, che è anche il padre della regista. Presentato all’edizione 2022 del Sundance Film Festival, e uscito nelle sale Usa poco prima di Natale con grande successo, Turn Every Page ha il ritmo freneticamente preciso di una screwball comedy – paradosso interessante per un film che celebra la curiosità interminabile della ricerca con cui Caro esplora i suoi soggetti, la purezza quasi monacale con cui, in sessant’anni di carriera, si è concentrato a sviscerare il tema del funzionamento del potere, applicato prima a Moses e adesso a Johnson, con il balletto dell’attesa tra l’autore e l’editor, oggi novantaduenne. Attesa che si colora di una suspense venata di tenerezza, considerando l’età di questi due giganti dell’universo letterario americano. Con soli cinque libri all’attivo, Caro ha vinto due Pulitzer, tre National Books Circle Awards, due National Book Awards e una cascata di riconoscimenti minori; oltre a Caro, Gottlieb è stato l’editor, tra gli altri, di John Cheever, Doris Lessing, Michael Crichton, Toni Morrison, Salman Rushdie, Kathryn Hepburn, Bob Dylan e Bill Clinton, ha diretto il settimanale «New Yorker» dal 1987 al 1992 e ha scritto numerosi libri sulla danza.
Lizzie Gottlieb ha raccontato di aver faticato per convincerli a partecipare al film (e la produzione, durata cinque anni, non tocca i tempi di Caro ma eccede quelli del tipico doc indipendente). Curiosamente, la scelta editoriale determinante non è arrivata da suo padre ma da Caro: i due protagonisti non sarebbero mai stati intervistati insieme. Invece di rendere le cose più difficili – dato che si tratta di un film sul rapporto tra due persone- la struttura a percorsi paralleli, un po’ a rimpiattino, giocando sull’antagonismo implicito dei due ruoli (chi scrive e chi «taglia») dà risultati brillanti. Non toglie nulla alla magia e al mistero della loro relazione, ma fa sembrare Caro e Gottlieb ancora più vicini.
INTANTO nel reciproco rispetto, ma soprattutto nella passione per l’opera. La loro è una magnifica complicità, che significa accapigliarsi anche per un punto e virgola, ridurre un libro di 1.050.000 parole a 700.000 («la cosa più dura della mia vita», dice Caro), che li accomuna per l’intero arco delle rispettive storie professionali e che si fonda su un contratto con l’editore Knopf (negoziato negli anni Settanta dall’allora giovanissima agente Lynn Nesbit, oggi anche lei una celebrity del mondo librario Usa) totalmente inimmaginabile nel panorama editoriale contemporaneo. Caro – che si avvale di sua moglie Ina come indispensabile compagna di ricerca – scrive a mano o con la macchina da scrivere, riponendo religiosamente le copie carbone di ogni sua cartella in uno sportello di legno, in alto sotto il soffitto di casa. Gottlieb affronta i suoi testi con un’appuntita matita gialla. Alla fine, conquistata la fiducia di entrambi, Lizzie ottiene il permesso di filmarli insieme, alla Knopf, seduti davanti a un manoscritto. Gottlieb con la matita in mano, Caro chinato sulla pagina. È la scena clou del film. Ed è senza sonoro. Perché, dice Caro «la nostra è una cosa un po’ privata».
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