Turchia, Hatay sotto le macerie dello Stato
Turchia A otto mesi dai terremoti che hanno provocato 50mila morti, il sud-est del paese è avvolto in una nuvola di polveri d’amianto. E i responsabili politici della tragedia sono sempre al potere
Turchia A otto mesi dai terremoti che hanno provocato 50mila morti, il sud-est del paese è avvolto in una nuvola di polveri d’amianto. E i responsabili politici della tragedia sono sempre al potere
Sono trascorsi quasi otto mesi dai due terremoti che hanno colpito il sud-est della Turchia, causando la morte di oltre cinquantamila persone. Un evento naturale che ha però avuto un impatto devastante, principalmente a causa delle scelte urbanistiche fallimentari fatte negli ultimi anni. Alcuni costruttori responsabili di questa tragedia sono stati prontamente arrestati e condannati, mentre i responsabili politici sono ancora al potere. Intanto, le terre dell’Anatolia colpite gridano ancora «aiuto».
«CENTINAIA DI MIGLIAIA di nuove abitazioni, il ripristino degli edifici statali, sgravi fiscali e aiuti economici», queste sono state fin dall’inizio le promesse del governo centrale in risposta ai terremoti che nel mese di febbraio hanno colpito una zona abitata da più di cinque milioni di persone.
Tuttavia, i giorni passavano e gli aiuti o gli interventi non arrivavano. Chiunque criticasse Ankara riceveva minacce. «Con voi faremo i conti dopo», furono le parole del presidente Erdogan nei confronti delle voci di dissenso. I governatori locali del partito al potere hanno intrapreso vari stratagemmi per mascherare l’incapacità dello Stato e per ostacolare gli aiuti provenienti da comuni governati dall’opposizione.
Inoltre, quel disastro è avvenuto pochi mesi prima delle elezioni politiche e presidenziali, mettendo in luce una serie di gravi irregolarità commesse dal governo attuale nel corso degli anni. Quindi è meglio che non se ne parli.
«A Hatay (Antiochia, ndr), città gravemente colpita dal terremoto, assistiamo ogni giorno alla rimozione delle macerie e all’abbattimento degli edifici non recuperabili. In questi mesi, più di cinquantamila sono stati demoliti e ve ne sono ancora ventimila da abbattere. Ma tutto questo lavoro viene eseguito senza precauzioni: da mesi siamo immersi in una enorme nuvola di polvere carica dell’amianto venuto fuori dagli edifici distrutti», spiega Hasan Nurlu, un abitante storico del quartiere di Defne a Hatay. «Una buona parte della popolazione vive ancora in tende, alcuni in container. C’è un enorme problema legato all’igiene e all’uso dei servizi igienici. L’estate è stata devastante e ora dovranno affrontare la stagione fredda. Qui, lo Stato è letteralmente inesistente».
HASAN È ANCHE CO-PRESIDENTE per la provincia di Hatay del Partito della sinistra verde (YSP), lo stesso partito che in questi giorni ha reso pubblica una dettagliata relazione, redatta in collaborazione con professionisti, sullo stato delle zone colpite dai terremoti. «In diverse città, la maggior parte della popolazione è ancora senza un tetto. C’è ancora un problema legato alla gestione e alla distribuzione degli aiuti. Dalle interviste fatte con i cittadini emerge il problema legato al possesso di case non censite, quindi numerose persone non avranno mai una nuova casa. Gli abitanti segnalano un enorme problema legato alla burocrazia che rallenta il ritorno alla vita normale. Infine, emerge un grande problema legato agli ospedali e alle scuole». Sono solo alcune delle osservazioni riportate in questo rapporto di 12 pagine che riguarda le città di Adiyaman, Malatya, Maras e Hatay, che porta la firma di alcuni parlamentari dello YSP e vari governatori locali.
POCHE SETTIMANE FA è iniziato il nuovo anno scolastico e sembra che il diritto allo studio non sarà garantito per migliaia di studenti nella zona. «A Hatay, ma non solo, numerose scuole risultano distrutte o inagibili. Invece di trovare soluzioni, lo Stato ha deciso di unire diversi istituti. Quindi i ragazzi sono obbligati a fare lunghe ore di viaggio ogni giorno per raggiungere la scuola. Le strade sono ancora da ripristinare, i mezzi di trasporto pubblico scarseggiano, quindi gli studenti sono costretti a camminare o a rinunciare alla scuola», aggiunge Hasan.
Anche nella relazione dello YSP emerge chiaro questo problema. In alcune città, il trasporto pubblico è gratuito per gli studenti ma limitato a un raggio di soli 3 chilometri. In alcuni casi, la scuola da raggiungere è distante anche 70 chilometri. Il problema riguarda anche gli insegnanti; alcuni sono deceduti nel terremoto e molti di loro hanno dovuto abbandonare la zona. Quindi, c’è un grande problema legato al numero di cattedre rimaste scoperte. Nella città di Malatya, soltanto il 20% di quelle vacanti è stato compensato in questi mesi, quindi il sistema scolastico è in grande crisi.
C’È POI LA QUESTIONE ancora irrisolta degli ospedali crollati. «A Hatay gli ospedali offrono solo il servizio di pronto soccorso. Gli interventi vengono effettuati fuori città e il ricovero non è possibile. Gli ospedali temporanei italiani e francesi sono ancora in funzione per colmare il vuoto», spiega Hasan Nurlu.
Solo in questa città, 62 ambulatori, 6 ospedali privati e 3 statali sono crollati inb seguito alle scosse sismiche. «C’è una chiara fuga dalla zona anche da parte dei medici. Solo a Hatay vivono oltre un milione e mezzo di persone e non c’è nessun ospedale in grado di intervenire in modo adeguato nemmeno per i casi di infarto», fa notare l’Unione dei Medici di Hatay che, attraverso vari comunicati stampa in questi mesi ha cercato inutilmente di attirare l’attenzione del governo centrale sull’emergenza in atto.
DINANZI A QUESTA LATITANZA da parte dello Stato, Hasan Nurlu e numerose associazioni locali hanno deciso di creare il gruppo «Solidarietà per il terremoto di Hatay». Raccolgono aiuti, li distribuiscono e costruiscono ponti di solidarietà con gli esuli curdi e aleviti che vivono in Europa. «Abbiamo capito che qui la strada è lunga, quindi abbiamo deciso di risolvere da noi stessi i nostri problemi. Abbiamo costruito diversi punti di filtraggio dell’acqua, dato che c’è un problema legato all’acqua potabile, e abbiamo iniziato a fornire borse di studio a centinaia di studenti universitari».
IL RITORNO ALLA “NORMALITÀ” resta un sogno difficile da realizzare con questo governo immerso nella corruzione, tra affari di famiglia e attaccamento viscerale al potere. La crisi economica attanaglia tutto il paese, ma il regime non rinuncia alle sue dimostrazioni di potere. E così soccorritori, navi militari e aiuti umanitari sono stati subito inviati dalla Turchia verso il Nord Africa dopo il terremoto che ha causato più di tremila vittime in Marocco e l’alluvione che ha devastato Derna e l’est della Libia, dove si temono ventimila morti. «Siamo pronti a intervenire in ogni modo e immediatamente» aveva detto Erdogan in quei giorni. A differenza di quanto è accaduto nel sud-est della Turchia.
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