Tunisi-Bruxelles, l’accordo (che non c’è) non piace a tutti
Il dossier Tunisia al prossimo Consiglio Ue Si capirà probabilmente al prossimo consiglio europeo del 29 e 30 giugno se gli sforzi diplomatici messi in campo fino a oggi dall’Italia per mettere fine alle partenze dei migranti […]
Il dossier Tunisia al prossimo Consiglio Ue Si capirà probabilmente al prossimo consiglio europeo del 29 e 30 giugno se gli sforzi diplomatici messi in campo fino a oggi dall’Italia per mettere fine alle partenze dei migranti […]
Si capirà probabilmente al prossimo consiglio europeo del 29 e 30 giugno se gli sforzi diplomatici messi in campo fino a oggi dall’Italia per mettere fine alle partenze dei migranti dalla Tunisia saranno stati utili oppure no. La premier Giorgia Meloni spera di arrivarci portando con sé un memorandum di intesa tra Bruxelles e Tunisi già firmato da poter mostrare ai leader europei e magari con in più anche la data in cui tenere la conferenza sul Mediterraneo di cui ha discusso domenica in Tunisia con il presidente Saied.
Già difficile in partenza, la situazione rischia però di complicarsi ulteriormente vista la poca disponibilità mostrata finora da Saied a venire incontro alle richieste europee, e in particolare dell’Italia, ma anche per la freddezza con cui quasi tutti gli Stati del Nord Europea guardano alle trattative in corso sull’altra sponda del Mediterraneo. I 250 milioni di euro messi a disposizione domenica dalla presidente della Commissione Ue Ursula con der Leyen (100 per il controllo dell’immigrazione e 150 per aiutare le casse di Tunisi), sono niente rispetto ai reali bisogni di un Paese che da mesi si trova sull’orlo del default, e del resto il rifiuto del presidente Saied di aderire alle richieste di riforme economiche chieste dal Fmi per sbloccare un prestito da 1,9 miliardi di dollari in ballo ormai sette mesi, non aiuta. Fino a quel momento restano bloccati anche i 900 milioni di euro promessi da Bruxelles.
Accettare le condizioni del Fmi, che prevedono la soppressione delle sovvenzioni per pane e carburante, ma anche tagli al personale dell’amministrazione pubblica e la vendita di alcune aziende statali, equivarrebbe ad accendere la rivolta popolare, cosa che Saied ha tutto l’interesse a evitare. Così come non ha alcuni intenzione, come invece spera l’Europa, di trasformare la Tunisia in una nuova Turchia accettando di riprendere indietro tutti i migranti, e non solo i tunisini, che sono partiti dalle sue coste, come si vorrebbe nel patto su immigrazione e asilo approvato la scorsa settimana a Lussemburgo. «Non facciamo da guardie di frontiera per altri Paesi», ha proclamato il presidente (non certo un campione nel rispetto dei diritti umani) domenica non appena il «team Europa» – composto dal Meloni, von der Leyen e il premer olandese Rutte – ha lasciato il paese.
La situazione non è certo più rosea se vista dalla parte di Europa e Stati uniti. Il Fmi non ha alcuna intenzione di sbloccare il prestito se non arriveranno garanzie certe sulle riforme. Ieri il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani avrebbe dovuto essere a Washington per incontrare la direttrice del Fmi Georgeva e provare a sbloccare la trattativa secondo la proposta italiana (stanziare parte dei fondi mano a mano che le riforme vengono messe in cantiere) ma è subito rientrato in Italia una volta appreso della morte di Silvio Berlusconi.
In Europa invece è previsto per oggi l’avvio dei negoziati tra Consiglio, Commissione e Parlamento sul Patto immigrazione e asilo che prevedono anche un accordo su una lista di paesi terzi sicuri dove rimandare i migranti che non hanno i requisiti per ottenere la protezione internazionale. E un regime come quello tunisino sembra creare problemi a più di un Paese.
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