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Trump: «Stato d’emergenza». Ma è lui il vero pericolo

Trump: «Stato d’emergenza». Ma è lui il vero pericoloMigranti dagli Stati centramericani lungo la barriera tra Tijuana e San Diego – Afp

Stati uniti Il presidente minaccia i democratici. Ma è lo shutdown a mettere a rischio gli Usa: gli aeroporti sono meno sicuri e si profilano tagli ai sussidi per i poveri e stop ai rimborsi fiscali

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 6 gennaio 2019

Durante la conferenza stampa che ha tenuto nel Rose Garden della Casa bianca a seguito del fallimentare incontro con i leader democratici che non ha portato a una soluzione per fermare lo shutdown, l’interruzione di tutte le attività governative in atto ormai da due settimane, Donald Trump ha dichiarato che pur di costruire il muro al confine con il Messico potrebbe dichiarare «emergenza nazionale». Gli permetterebbe di procedere indipendentemente dall’approvazione del Congresso.

La costruzione del muro è la causa di questo shutdown che The Donald ha minacciato di far durare per «mesi o anche anni», se i democratici non cederanno e includeranno nel budget i 5 miliardi di dollari per la costruzione. Nancy Pelosi – che da quando è la speaker di una Camera sotto il controllo dei democratici è il referente di Trump all’opposizione – ha dichiarato di essere disposta a concedere un finanziamento di un dollaro per la costruzione di un muro che ha definito «un’ignominia».

Dichiarare l’emergenza nazionale consentirebbe a Trump di dirottare su questo progetto le risorse di altre agenzie governative, senza consultare il Congresso: «Potrei farlo perché c’è in gioco la sicurezza del Paese», ha dichiarato il tycoon parlando di un’emergenza inesistente e un’invasione che non c’è.

La richiesta di Trump di un muro con il Messico è stata respinta non solo dai democratici, ma anche da una parte dei repubblicani. Per questo il presidente si è rifiutato di firmare la legge sulla spesa pubblica dello Stato, causando uno shutdown di cui non si vede la fine e che, se finora è stato attutito dalla preventivata chiusura per le feste di Natale e fine anno, sta già creando problemi.

Negli aeroporti centinaia di agenti per la sicurezza dei trasporti, tenuti a lavorare anche senza stipendio, questa settimana si sono messi in malattia: secondo gli stessi agenti significa viaggi aerei meno sicuri, specialmente da quando lo shutdown è entrato nella sua seconda settimana, senza che si profili una chiara fine dello stallo politico. È quanto meno ironico che per pretestuose e inesistenti ragioni di sicurezza si metta realmente in pericolo la sicurezza nazionale.

Se la chiusura del governo si protrarrà fino a febbraio i problemi aumenteranno: i buoni alimentari di 38 milioni di americani a basso reddito subiranno forti riduzioni, e oltre 140 miliardi di dollari di rimborsi fiscali rischiano di essere congelati. Ma la minaccia di Trump di dichiarare lo stato di emergenza nazionale non è di facile attuazione, nonostante sia stata presentata come tale.

Se è vero che nella legge statunitense ci sono delle disposizioni che consentono al presidente di dirigere progetti di costruzione militare durante una guerra o un’emergenza nazionale, questo denaro dovrebbe comunque provenire dai fondi del Dipartimento della Difesa stanziati dal Congresso per altri scopi, ovvero essere spostati dagli obiettivi stabiliti e stanziati altrove. Se questo «altrove» è un muro con il Messico, ciò potrebbe spingere il Congresso, compresi i repubblicani, a ogni tipo di opposizione.

Oltre a ciò subentrerebbe da parte dei democratici una prevedibile e inevitabile sfida legale che di fronte a un simile esercizio di autorità presidenziale non porterebbe di certo a una rapida soluzione dell’empasse.
Come spiegano gli analisti americani, qualsiasi ordine presidenziale di costruire un muro, verrebbe accolto da un altrettanto imponente muro di documenti per bloccarne la costruzione. Dunque l’ultima sparata di Trump più che una minaccia pare essere un bluff.

Evan McMullin, ex repubblicano passato agli indipendenti per correre contro Trump alle presidenziali del 2016, ha sintetizzato la situazione in un tweet: «Lo shutdown per il muro causato da Trump è un caso di studio per la governance populista. Un leader promette in campagna elettorale delle cose ridicole sfruttando l’ansia degli elettori, poi sale al potere, affronta indagini per corruzione e così cerca disperatamente di attuare la promessa fatta alla base, causando un’ampia disfunzione del governo».

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