Un giudice della Georgia ha ordinato di rendere pubblica una parte del rapporto del gran giurì che ha indagato sul tentativo di Trump di ribaltare l’esito delle elezioni presidenziali del 2020 in quello stato. La notizia della divulgazione di una parte del rapporto era stata data qualche giorno fa, specificando che ad essere resi pubblici sarebbero stati solo degli stralci: le parti riguardanti l’introduzione, la conclusione e una sezione in cui il gran giurì discute i dubbi sui testimoni che hanno parlato sotto giuramento.
Questa non era l’intenzione iniziale del gran giurì, che aveva chiesto di poter pubblicare il rapporto integralmente, ma la procuratrice distrettuale della contea di Fulton ha chiesto di mantenerlo segreto per proteggere la sua indagine, mentre sta ancora decidendo come procedere.

LA DECISIONE finale, infatti, non spetta al gran giurì, che può solo emettere atti d’accusa e raccomandazioni circa la necessità o meno di emettere incriminazioni, mentre se procedere o meno con queste accuse ed iniziare un processo è una decisione che spetta alla procura. In questo frangente si tratterebbe di un processo penale che coinvolgerebbe un ex presidente, i suoi avvocati, i suoi collaboratori: chiaramente le cautele sono raddoppiate.
Per questo caso il gran giurì ha ascoltato per mesi le testimonianze di decine di fedelissimi di Trump, oltre a funzionari della Georgia e testimoni informati dei fatti. Nelle sezioni non secretate, il gran giurì ha affermato di aver ricevuto prove che coinvolgono più di 75 testimoni, la maggior parte dei quali è apparso di persona e sotto giuramento.

Da quello che si può leggere nelle 5 pagine rese pubbliche, i 26 membri del gran giurì hanno affermato di ritenere che uno o più testimoni abbiano commesso spergiuro e dovrebbero essere incriminati, ma a chi si riferiscono non è ancora dato sapere, mentre è accertato che secondo il gran giuri «non si è verificato nessun broglio elettorale che avrebbe potuto compromettere l’esito delle elezioni». Vengono così respinte ancora una volta le tesi sostenute da Trump e dai suoi fedelissimi sulle elezioni rubate.

In realtà l’ex presidente non si era limitato a sostenere di aver battuto Biden in Georgia, ma aveva fatto delle pressioni dirette sul segretario di Stato Brad Raffensperger al quale aveva chiesto senza mezzi termini «Trovami 11.000 voti Brad», riferendosi agli 11.780 voti di cui aveva bisogno per battere Joe Biden in Georgia. Il repubblicano Raffensperger si rifiutò e rese pubblica la richiesta che Trump gli aveva fatto per telefono il 2 gennaio 2021, dopodiché la macchina burocratica della giustizia si era messa in moto.

Ora, dal poco che è stato pubblicato, l’indicazione che si ricava dal rapporto è che il gran giurì ha raccomandato delle accuse penali. La decisione su come procedere è nelle mani della procura di Fulton, che sarà però fortemente influenzata dalle conclusioni del gran giurì.