Trump sfotte il Messico e insiste sull’immigrazione
Presidenziali Usa In Arizona presenta dieci punti, ripetendo gli slogan sulla deportazione e il muro
Presidenziali Usa In Arizona presenta dieci punti, ripetendo gli slogan sulla deportazione e il muro
Prima a Phoenix in Arizona e poi davanti ai veterani a Cincinnati in Ohio, il candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump è tornato dalla visita lampo in Messico concedendosi ai suoi sostenitori in due comizi a distanza di poche ore. Ha parlato di nuovo di immigrazione, muro, sicurezza, grandezza americana – i suoi cavalli di battaglia – come al solito.
Non ha cambiato tono o argomentazioni, non ha indossato i panni, per lui taglia «slim», del repubblicano avveduto, consapevole, non è entrato nel dettaglio, non lo fa mai, non ha fatto caso alle contraddizioni del suo discorso – «distopia al di fuori della realtà», titolava un duro editoriale della Cnn – quando dice che ci sono 4 milioni di immigrati clandestini da espellere in un paese che dagli immigrati è stato costruito e viene tenuto in piedi. O quando continua a dire che il muro di contenimento al confine con il Messico deve essere pagato dal Messico, mentre il presidente messicano Enrique Peña Nieto sostiene di aver chiarito nel loro recente faccia a faccia che non se ne parla proprio.
Essere smentito, per «The Donald», fa parte del gioco. Ha detto che le riforme della sanità dell’era Obama – Obamacare, Social security e Medicare – sono state fatte essenzialmente a favore degli immigrati irregolari. Poco gli importa se la Cnn lo smentisce. E quanto costerebbe il muro tra Usa e Messico, 4 o 12 miliardi di dollari? Secondo l’ex governatore del Texas e suo alleato, Rick Perry non si tratterebbe neanche di una barriera fisica ma di un muro «virtuale», fatto di droni e controlli biometrici alla frontiera, non molto diverso dalle proposte di Hillary Clinton secondo il giornale «radical» Daily Beast.
La verità che importa a The Donald, l’inaffidabile, il farneticante, l’inattendibile Trump, è mandare avanti la sua macchina per il consenso e quindi cercare di stemperare l’acredine anti-immigrati che potrebbe alienargli gli elettori ispanici senza smentirsi e senza abbandonare i suoi sostenitori bianchi e suprematisti. Per farlo ci voleva un trucco da prestigiatore, un oggetto scenico di cui lo stesso Trump su Twitter ha poi rivendicato l’invenzione. È stato un cappello, un cappelletto bianco da baseball che ha fatto indossare a Phoenix ai suoi due supporter: l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani (nella foto) e il senatore dell’Alabama Jeff Sessions.
Entrambi lo hanno sfoggiato sul palco con la scritta: «Make Merxico Great again also», parafrasando lo slogan della campagna trumpiana «Make America Great again» contrapposto a quello della Clinton per cui l’America è già grande, senza nostalgie.
I social media sono impazziti, tra l’incredulità e le interpretazioni più disparate. Uno slogan goffo? Un segnale per rimarcare le distanze? Escluso, Giuliani e Sessions sono grandi sostenitori di Trump e poi è arrivato il suo imprimatur. «La satira è morta e questo cappello ne è l’assassino», ha twittato una ragazza, Sarah. Mentre si sprecano le moltiplicazioni del gioco: «E il Canada allora?», «Facciamo pure la Moldavia di nuovo grande» e così via.
Per gli italiani questo gioco alla battuta, allo screditamento dell’avversario, al nemico immaginario, alla promessa più incredibile – sconfiggere il cancro e cose simili – può sembrare un deja vu. Del resto le similitudini tra i due imprenditori dalle facili fortune e dai forti appetiti sessuali esibiti, sono numerose. La differenza più grande sta nel loro posto nel mondo, cioè la collocazione nel tempo e la grandezza del paese.
Per mantenere un contatto con il reale, un qualche tipo di contatto, bisogna fare uno sforzo. I numeri dicono che oltre 6 milioni di immigrati potrebbero essere «incarcerati e deportati» se Donald Trump vincesse le presidenziali e applicasse davvero il piano in dieci punti presentato nel suo discorso a Phoenix, secondo le stime dell’Istituto per le politiche migratorie. Il New York Times parla di 11 milioni di espulsioni possibili. Altri parlano invece di quasi due milioni. Mentre quelli che restano entro i confini degli States pur avendo il visto scaduto sarebbero 4,5 milioni (si tratterebbe del 40% di tutti i migranti senza regolare permesso).
In tutto, calcola il Washington Post, gli agenti dell’immigrazione dovrebbero deportare fra i 5 e i 6,5 milioni di persone. Nel suo discorso in Arizona il candidato repubblicano ha anche anticipato la sua intenzione di triplicare il numero di agenti dell’immigrazione e creare una «nuova forza per le deportazioni». C’è chi immagina che potrebbe utilizzare carceri private, le stesse che Barack Obama ha disattivato, ma il calcolo dei costi non è stato fatto.
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