Davanti al Cpac (Conservative political action conference), Donald Trump si è presentato ricaricato, sbuffante e con una gran voglia di menare le mani. Ai fedelissimi che lo hanno acclamato al summit annuale dei conservatori l’ex presidente ha promesso non solo vittoria ma terribile vendetta. «Sarò il vostro guerriero, la vostra giustizia e, per i torti ed i tradimenti che avete subito, sarò la vostra rappresaglia (retribution)».

Nel comizio che di fatto è servito come avvio della campagna presidenziale, Trump si è riproposto come cavaliere oscuro, un fosco giustiziere latore dei risentimenti e livori che fomentano la base, ancor più oggi aizzata dalla “Big Lie” delle “elezioni rubate.”

In assenza di proposte programmatiche, Trump ha usato quello che Mehdi Hasan ha definito il «lanciarazzi emozionale» reclamato dai suoi fedeli, meno interessati a programmi politici che al tossico intruglio identitario delineato dai nemici a cui farla pagare: immigrati, «gender», «élite woke», «globalisti», tutti gli spauracchi del collaudato repertorio delle culture wars e della paranoia bianca.

L’ex presidente si è scagliato contro il confine spalancato agli invasori, le auto elettriche obbligatorie, trans e travestiti, intellettuali e degeneri che traviano i figli dei patrioti – l’intero catalogo del depistaggio nazional populista rispolverato e impugnato come arma impropria. Se vi erano dubbi sullo stato del trumpismo due anni dopo Capitol Hill e dopo i risultati deludenti del midterm, il caudillo di Mar-A-Lago ha rassicurato i suoi: rimane impenitente e recidivo.

Il tono sprezzante era mirato a Biden quanto ad eventuali aspiranti eredi nel proprio partito, in particolare al proto-fascista governatore della Florida Ron DeSantis, rivale non ancora ufficiale ma quasi certo in un giro di primarie che potrebbe dilaniare la destra. DeSantis non si è affacciato al Cpac ma è impegnato in un tour promozionale di un libro, raccolta di fondi ed una serie di interventi in stati chiave che fanno presagire una prossima campagna in cui potrebbe tentare il sorpasso a destra di Trump.

A lui ed altri potenziali “traditori” era in parte mirata la tracotante spavalderia esibita da Trump che ha mirato a compattare la base e dissuadere chi all’interno del partito sta valutando se scaricarlo a favore di un erede al trono populista meno danneggiato e magari più giovane. Fra questi vi sarebbe anche Rupert Murdoch non più del tutto disposto a mettere a disposizione di Mar-A-Lago l’imponente macchina propagandistica di Fox News.

Il senso dell’intervento era quindi di proiettare forza e parare d’anticipo i colpi che rischiano di insidiare la sua campagna. Fra questi vi sono la possibile istruzione di almeno quattro possibili processi attualmente nelle fasi avanzate delle indagini. La causa per corruzione legata alla call- girl Stormy Daniels a New York, quella per interferenza elettorale in Georgia e due possibili procedure federali, per sottrazione di documenti top-secret e tentata sovversione delle elezioni del 2020. Assieme potrebbero sovrapporre processi giudiziari a quello elettorale, infiammandolo di un ulteriore dimensione “berlusconiana”, inedita per gli Stati uniti.

Al Cpac Trump ha dichiarato che la «caccia alle streghe» non lo distoglierà dalla meta preannunciando guerra senza quartiere ai magistrati. I dissapori che circolano sotto la superficie del Gop sono indice anche di un possibile scontro fra populisti e tradizionalisti (finora conniventi per interesse). Anche a costoro Trump ha ribadito di essere detentore unico del brand Maga e che non intende assolutamente mollare – di nutrire in pratica per dissidenti potenziali la stessa considerazione che aveva Sansone per i Filistei. I prossimi mesi sono destinati a misurare il residuo effetto trumpista sulla stabilità del paese.