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Trump in panne con GM

Trump in panne con GMLa disperazione dei lavoratori in uno degli impianti General Motors interessati dai licenziamenti – Afp

Stati uniti La crisi in cui è precipitata la General Motors è una brutta notizia per il presidente Usa. Dall’Ohio al Michigan, in gioco le vite di coloro a cui ha promesso di più per farsi votare. E lui cambia discorso

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 30 novembre 2018

Sono 14.700 i posti di lavoro cancellati a causa della chiusura di 5 fabbriche General Motors in Nord America, di cui una in Canada e 4 tra Ohio e Michigan. I licenziamenti riguardano 6 mila operai e circa 8.100 lavoratori del settore impiegatizio. Inoltre GM ha chiesto a 18 mila persone di andare in pre pensionamento.

Si tratta di una notevole riduzione dei costi di lavoro fatta a spese di quella classe lavoratrice e di quell’area geografica che ha contribuito più di ogni altra a portare Trump alla Casa Bianca; quella classe media composta da bianchi impoveriti che si sono ritrovati alienati da un American dream che non esiste più, ed estromessi dal ceto sociale a cui credevano di appartenere ormai per diritto acquisito.

GM ha spiegato le ragioni della sua mossa, imputandola alla combinazione di più fattori, a partire dalla crisi con il mercato cinese dove General Motors aveva un’importante fetta di mercato che si sta riducendo, oltre alla riduzione dello stesso mercato nordamericano, a causa di un diverso orientamento dei consumatori Usa, che stanno passando dalle grandi macchine, pezzo forte della ditta, alle utilitarie; a questo si va ad aggiungere l’impatto dei dazi sull’importazione dell’acciaio, voluti da Trump.

Questo terzo stato americano, alla luce di ciò, appare sempre più come vittima compressa da un lato da un mondo che cambia in una direzione per lui inaspettata e irriconoscibile, che vuole macchine piccole più adatte a uno stile di vita di stampo urbano, dall’altro dalle scelte insensate di quello che doveva essere il loro salvatore.

NELLA DECISIONE DI GM ci sono, infatti, questioni che toccano direttamente le politiche protezioniste dell’amministrazione Trump, che nella retorica del tycoon avrebbero dovuto favorire l’industria americana, mentre il risultato è l’esatto contrario di ciò che The Donald aveva promesso.
Ohio e Michigan sono due Stati che Obama era riuscito a riconquistare sia nel 2008 che nel 2012, ma che nel 2016 avevano creduto alla promessa di rinascita economica repubblicana; fino allo scorso agosto, Trump, durante un suo comizio in Michigan, ha rassicurato la sua base invitando le persone a non vendere le case per andare altrove, in quanto in quella zona l’industria, grazie alle sue politiche, sarebbe rinata.

E invece.

I POSTI DI LAVORO CANCELLATI da GM non sono pochi anche alla luce di quanto Trump ha sempre ribadito in West Virginia riguardo l’industria delle miniere e dove, anche lí, non è avvenuta quella salvifica rinascita dell’industria del carbone, possibile solo nella visione anziana e aprospettica di Trump.

Ora su GM ci saranno una serie di incontri dei sindacati con il ministero del Lavoro americano, ma intanto è un primo brutto segnale per questa amministrazione, proprio perchè proviene da quelle aree dove Trump aveva promesso di più.

A ciò si aggiunge che proprio in Ohio c’è un governatore repubblicano ribelle, John Kasich, che sta pensando di sfidare nuovamente Trump alle prossime primarie per le presidenziali del 2020, e che nelle ultime elezioni di midterm il seggio di senatore del Michigan è tornato ai democratici.

Queste sono aree dove, nei prossimi mesi infurierà la battaglia tra democratici e repubblicani, e in gioco c’è letteralmente la vita di migliaia di nuclei familiari. Oltre ai 14.700 licenziati e ai 18.000 prepensionati sono coinvolti anche i lavoratori dell’indotto. Ad andare in crisi proprio a Trumpland è il sistema economico di queste zone, che forse soffriranno gli effetti di una rinnovata crisi, di fatto mai sanata.

LA VICENDA DI GENERAL MOTORS è iniziata nel 2008 con la crisi finanziaria globale partita dagli Stati uniti, e che ha messo il sistema capitalistico tradizionale nell’angolo. All’epoca si era nel pieno passaggio di consegne fra Bush e Obama, ci fu un salvataggio delle banche e l’intervento dello Stato su alcune industrie, inclusa quella delle auto. Ma ora i tempi sono cambiati. L’amministrazione o non interviene o non ha la possibilità di intervenire, proprio perché è già successo in tempi recenti: un nuovo intervento non verrebbe nemmeno percepito in modo positivo per via di una generale presa di coscienza collettiva riguardo la crisi di questo sistema.

Dopo essersi dichiarato scontento della decisione di GM, Trump è passato da un gruppo di emarginati vessati a un altro gruppo di emarginati vessati; come nel suo stile, in pura scuola Bannon – del caos come elemento risolutore -, quando è stata diffusa la notizia riguardante la crisi di General Motors, il primo tweet ha riguardato la situazione rovente alla frontiera tra Stati uniti e Messico e la minaccia della «carovana migrante».

TRUMP HA PROVATO COSÌ, passando a un altro suo cavallo di battaglia, a distogliere l’attenzione da quella che era una delle ragioni per cui una certa parte di America lo aveva voluto eleggere. Ma con questo baratro dovrà confrontarsi. Qui non si parla più di retorica e propaganda, in questo caso ci sono numeri, dati, posti di lavoro, persone.

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