Trump già approva la colonizzazione israeliana
Israele/Territori Occupati Il consigliere del presidente eletto spiega che il tycoon non considera gli insediamenti ebraici un ostacolo per la pace e assicura che l'ambasciata Usa in Israele sarà trasferita a Gerusalemme, come aveva promesso in campagna elettorale.
Israele/Territori Occupati Il consigliere del presidente eletto spiega che il tycoon non considera gli insediamenti ebraici un ostacolo per la pace e assicura che l'ambasciata Usa in Israele sarà trasferita a Gerusalemme, come aveva promesso in campagna elettorale.
Sprizzano felicità da tutti i pori i coloni israeliani e i ministri ultranazionalisti del governo di destra di Benyamin Netanyahu. Il neo eletto Donald Trump confermerà quanto aveva promesso a vantaggio di Israele in campagna elettorale. Almeno questo è ciò che sostiene uno dei suoi consiglieri più noti, Jason Greenblatt, candidato alla posizione di inviato in Medio Oriente della futura Amministrazione americana. «Trump non vede nelle colonie ebraiche un ostacolo alla pace» ha detto Greenblatt intervistato ieri da Galei Tzahal, la radio delle forze armate israeliane. Il consigliere ha aggiunto che il presidente eletto considera un errore l’evacuazione delle colonie ebraiche a Gaza nel 2005. Parole che hanno mandato in visibilio i coloni e i loro leader, alcuni dei quali seduti su importanti poltrone ministeriali. E devono essere state accolte con favore anche da Netanyahu. Il premier in queste ore evita di uscire allo scoperto ma la posizione di Trump è in linea perfetta con quanto lui va ripetendo da anni: la colonizzazione ebraica della Cisgiordania e di Gerusalemme Est è innocua e la responsabilità della tensione, delle violenze e del fallimento del negoziato è da attribuire soltanto ai palestinesi e ai loro leader.
La voce di Greenblatt è diventata musica celestiale per i nazionalisti israeliani quando il consigliere di Trump ha garantito che la nuova Amministrazione non imporrà una soluzione di pace a Israele e, più di tutto, che confermerà la promessa di trasferire l’ambasciata statunitense a Gerusalemme. In questo modo gli Usa riconoscerebbero l’intera città, inclusa la zona palestinese occupata nel 1967, come capitale dello Stato ebraico. «Trump è un uomo di parola», ossia non sarà come i suoi predecessori Democratici e Repubblicani, ha assicurato Greenblatt, «perchè riconosce il significato di Gerusalemme per il popolo ebraico, a differenza dell’Unesco».
Per il tycoon ora fioccano gli inviti dei coloni e dei “templari” fautori della ricostruzione del Tempio sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme. Il deputato Yehuda Glick, che a una conferenza sul tempio di qualche giorno fa ha incitato alla rottura dello status quo ribadito dall’Unesco con la sua risoluzione del mese scorso, ha invitato Trump a «salire» al Monte del Tempio. Poetico Yochai Damari, capo del Consiglio regionale delle colonie di Hebron. «Stiamo sentendo il battito delle ali della storia. Questa rivoluzione del 2016 mi riporta a 40 anni fa, alla rivoluzione del 1977 (quando la destra vinse per la prima volta le elezioni in Israele, ndr)…Se avremo successo potremo dire di essere all’alba di un nuovo giorno per gli insediamenti e per lo Stato di Israele nel suo complesso». Un altro leader dei coloni Yossi Dagan, ricordando di aver attivamente aiutato la campagna di Donald Trump, ha esortato il governo a revocare il blocco alla costruzione di nuovi insediamenti perché, ha avvertito, il presidente americano eletto si sta rivelando più israeliano degli israeliani. «Conosco le persone che circondano Trump – ha spiegato – alcune donano agli insediamenti israeliani e sono anche più a destra di alcuni dei nostri ministri».
Con queste premesse le intenzioni di Trump, se messe in pratica, si riveleranno una miscela esplosiva capace non tanto di far saltare l’ipotetico rilancio del negoziato israelo-palestinese – inutile peraltro visti i rapporti di forza e il fallimento ormai riconosciuto ovunque della soluzione dei “Due Stati”, a causa proprio della colonizzazione – quanto di innescare gravi tensioni religiose nella regione. Trump vuole regalare, definitivamente, Gerusalemme a Israele e non sembra rendersi conto di cosa comporterebbe questa mossa. Gerusalemme Est non è soltanto rivendicata dai palestinesi come loro futura capitale politica. La Spianata delle Moschee, nella città vecchia, è il terzo luogo santo dell’Islam e già troppe volte quelle pietre si sono bagnate di sangue di fronte ai tentativi di infrangere uno status quo che Israele si è impegnato a rispettare. L’ignoranza e l’ottusità politica del nuovo presidente americano rischiano di appiccare un incendio devastante in tutta la regione.
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