Donald Trump è stato di nuovo incriminato, ma anche questa è una prima volta nella storia americana: dietro l’inchiesta c’è infatti il dipartimento di Giustizia, e cioè il governo federale. Al centro del caso la gestione dei documenti riservati e top secret che ha portato via dalla Casa bianca, ritrovati dall’Fbi durante il raid dell’estate scorsa nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida. Per questa vicenda il gran giurì nominato dal procuratore speciale Jack Smith gli ha contestato 37 capi d’accusa, tra cui appropriazione indebita di documenti appartenenti allo stato, in violazione dell’Espionage Act, falsa testimonianza e, soprattutto, cospirazione per ostacolare la giustizia.

IL CASO è esploso perché Trump, alla fine del suo mandato, ha portato con sé in Florida diversi scatoloni contenenti documenti segreti. Stando al Presidential Records Act, quelle carte appartengono allo stato e andavano consegnate ai National Archives, che hanno lanciato l’allarme appena scoperta l’assenza dei documenti e ne hanno chiesto la restituzione ai legali di Trump. Il quale, per più di anno, si è rifiutato di restituirli, per poi riconsegnarne 15 scatoloni dichiarando, tramite i suoi legali, di non averne altri. Affermazione smentita dal raid dell’Fbi, nel corso del quale gli agenti hanno trovato un altro centinaio di documenti classificati. I file trafugati, si legge nell’incriminazione, includono «informazioni che riguardano la difesa e le capacità militari sia degli Stati uniti che di paesi stranieri; il programma nucleare Usa; potenziali vulnerabilità agli attacchi, piani per possibili risposte in caso di attacco» da un paese straniero. Uno di questi piani è stato mostrato da Trump, si legge ancora, a una persona incontrata al suo campo da golf a Bedminster, in New Jersey, alla quale ha detto che si trattava di un documento «altamente confidenziale». Un’ammissione della sua consapevolezza del fatto che quei documenti non erano mai stati declassificati, come aveva invece sostenuto. Insieme a lui è stato incriminato il suo assistente personale di Mar-a-Lago – Walter Nauta – accusato di aver deliberatamente spostato e nascosto gli scatoloni contenenti i file: alcuni perfino in una doccia di Mar-a-Lago.

LE 49 PAGINE dell’incriminazione sono il frutto di un’indagine durata quasi un anno, di cui si sono occupati due gran giurì, uno a Washington e uno in Florida. Trump dovrà ora presentarsi martedì prossimo alla Corte distrettuale federale di Miami per l’udienza preliminare. Presieduta da una giudice nominata proprio dall’ex presidente: Aileen M. Cannon, la stessa che nella fase iniziale dell’inchiesta aveva messo i bastoni fra le ruote all’indagine federale accogliendo i ricorsi del team legale di Trump.

Durante questi mesi è emerso che anche Joe Biden, così come l’ex vice di Trump Mike Pence, hanno portato via file sensibili, che hanno però sostenuto di aver sottratto per errore, oltre a restituirli appena è stata scoperta la loro esistenza. Anche per indagare i loro casi Garland ha nominato un procuratore speciale.

IL TABÙ di un (ex) presidente incriminato era già caduto ad aprile, quando il procuratore di Manhattan Alvin Bragg ha incriminato Trump per aver falsificato i registri contabili della sua organizzazione allo scopo di coprire i presunti pagamenti per comprare il silenzio della pornostar Stormy Daniels. In seguito il tycoon è stato condannato anche al risarcimento della giornalista Jean Carroll nel processo civile per aver abusato sessualmente di lei. Smith sta inoltre indagando anche sul ruolo avuto da Trump nell’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 e sui tentativi di impedire la certificazione dell’elezione di Biden. Tentato golpe che è al centro anche di un’inchiesta penale statale in corso in Georgia.

A dare notizia dell’incriminazione è stato Trump stesso sulla sua piattaforma Truth Social: «Questo è un giorno buio per l’America, siamo un Paese in serio e rapido declino», ha scritto definendo l’accusa la «bufala degli scatoloni», creata per «interferire nelle elezioni. Sono un uomo innocente. Vogliono distruggere la mia reputazione per vincere».

ORE DOPO, l’ex presidente ha annunciato che due avvocati hanno lasciato il suo team legale, e di lì a poco il dipartimento di Giustizia ha reso pubblica l’incriminazione. Che mette gli Usa in una situazione senza precedenti, visto che Trump, scrive il New York Times, «non solo è un ex presidente, ma anche il front runner alla nomination repubblicana per le elezioni 2024».