Hanno raccolto le loro cose, un sacchetto di plastica, una borsa e stanno seduti per terra contro il muro, sguardi dove si mescolano paura e speranza. È venuto il momento della partenza, erano giorni che girava la voce, c’erano anche dei cartelli in inglese del Comune attaccati alle grate. Tranquilli, silenziosi, consapevoli che dovunque sarà meglio che nell’inferno del Silos. Ne sono convinti anche quei venti che arrivano di prima mattina da chissà dove e chiedono di essere identificati anche loro e trasferiti come gli altri. Sotto il vecchio grande tunnel ci sono i mediatori linguistici di Unhcr e polizia, tanta, e poi il gazebo e la visita medica. Entrano uno alla volta e si sporgono per spiegarsi e capire in un mescolio di lingue e molti gesti, escono guardando il foglio prestampato con la data e il nome sperando di avere in mano qualcosa di importante e chissà cosa c’è scritto. Uno più magro, più pallido, con due occhi spiritati che forse è soltanto paura, compare con un saturimetro che non riesce a misurare alcunché tanto è forte il tremore. Un sorriso, una pacca sulla spalla.

Bottiglie d’acqua arrivano da Coop Alleanza, proprietaria dell’edificio e del grande prato di pertinenza. I dirigenti parlano di fine del degrado, di una soluzione dignitosa per i migranti che finalmente è stata trovata. Il vecchio fatiscente Silos sarà ripulito, derattizzato, blindato e poi venduto, il grande prato incolto che fino a ieri era latrina e immondezzaio diventerà un parcheggio. Intanto ronde di polizia perché non entri nessuno. Sotto le alte volte resta un ammasso di sacchi neri e stracci e coperte e scatolette e bottigliette d’acqua, un bivacco durato anni. Ci sono stati periodi in cui dentro il Silos hanno trovato rifugio anche 400 migranti e ci sono rimasti per mesi in attesa di essere ammessi nel circuito dell’accoglienza. Richiedenti asilo, carte in regola, ma un posto per loro non si liberava mai. Adesso un posto è stato trovato e sono più di un centinaio all’imbarco sui pullman, braccialettini di diversi colori con i numeri scritti a mano, diverse destinazioni evidentemente ma, si dice, tutti in Lombardia.

Per chi arriverà si sta predisponendo un’area ben fuori città, sul Carso, e Unhcr porterà a giorni 12 moduli abitativi. Saranno 150 posti ad alta rotazione, si promette. Perché quello che non è successo per anni adesso sembra improvvisamente possibile: i migranti possono essere trasferiti a piccoli gruppi ma costantemente nel resto d’Italia. Vuol dire 20/30 persone al giorno che diventano 100 e poi 200 soltanto se nessuno interviene, se nessuno individua destinazioni e così è poi facile parlare di emergenza e di numeri ingestibili. Era ora che si liberasse il Silos, certo, e sarebbe potuto essere un giorno di festa, eppure nell’aria c’è un sentimento di mestizia. Ciao ragazzi, auguri a voi che finalmente ve ne andate ma chissà se davvero cambierà qualcosa. Troppo vicine le visite del Presidente della Repubblica e poi del Papa, troppo abituati alle facciate ridipinte in fretta per nascondere la sporcizia che sta dietro.

E poi lo sappiamo che l’accoglienza in Italia è una roulette: puoi avere fortuna ma puoi anche finire in un lager. E resta comunque irrisolto un problema: Trieste è città di transito, la stragrande maggioranza di quanti arrivano vogliono ripartire subito, prendere il treno che parte prima dell’alba e li porta più su, nel cuore dell’Europa. La soluzione per loro non è aspettare un ipotetico trasferimento ma un letto e un bagno, una notte in un dormitorio a bassa soglia, come quello che sta a venti metri dal primo binario dei treni e che il Comune si rifiuta di aprire. Il Presidente della Regione Fedriga ha dichiarato: «Problema risolto. Adesso c’è più ordine e sicurezza in città». Chissà. Magari non sarà il Silos ma ci sono chilometri di magazzini abbandonati nel vecchio porto asburgico, i transitanti troveranno qualche alternativa e sarà ancora degrado e fatica.

Ci sono Gianfranco Schiavone e Lorena Fornasir, poi anche Andrea Segre, autore di quell’incredibile film che è Trieste è bella di notte, e qualche volontario che è riuscito a passare il cordone, morbido, della polizia e distribuisce biscotti. I ragazzi salgono sui pullman e si voltano un momento, le mani giunte, un cenno con la testa, un tentativo di sorriso, vado dove mi porta il destino. Fuori, in piazza, poca gente e, seduta sull’erba, una famiglia nepalese appena arrivata, dai 3.000 metri al livello del mare. Difficile che sia finita, difficile che possa finire. I pullman partono uno alla volta mentre comincia a piovigginare dopo due giorni di un’afa insostenibile, il mare così coperto da mucillagini che tutto sembra immerso in un latte imputridito. Migliorerà, la pioggia laverà tutto, tornerà il sole. Inshallah.