Tregua Israele-Hamas a portata di mano. Bibi sceglie la guerra
Striscia di sangue Il premier continua a invocare la distruzione del gruppo islamico. Le famiglie degli ostaggi chiedono di accettare la roadmap di Joe Biden
Striscia di sangue Il premier continua a invocare la distruzione del gruppo islamico. Le famiglie degli ostaggi chiedono di accettare la roadmap di Joe Biden
Prima delle manifestazioni, ieri sera, il Forum delle famiglie degli ostaggi a Gaza ha chiesto alla Knesset di accettare la proposta di accordo tra Israele e Hamas avanzata venerdì da Joe Biden. Poche ore prima il segretario di Stato Antony Blinken aveva avuto colloqui con i ministri degli Esteri di Arabia saudita, Giordania e Turchia a sostegno della proposta illustrata dal presidente americano. La popolazione di Gaza, stremata da otto mesi di bombardamenti e massacri, in queste ore spera nel cessate il fuoco. E si aspetta una posizione morbida da Hamas che, riferisce al Jazeera, pare orientato ad accettare il piano, che ha già detto di «considerare positivamente», anche se l’ultima parola, nella struttura decisionale del movimento islamico, spetta ai leader a Gaza, Yahya Sinwar e Mohammed Deif. In questo quadro a resistere alla «roadmap» di Biden che potrebbe portare alla fine dell’offensiva israeliana, allo scambio di prigionieri e al cessate il fuoco a Gaza, è proprio il governo israeliano che pure, secondo il presidente Usa, avrebbe formulato la proposta resa nota due giorni fa.
NETANYAHU che venerdì aveva accolto senza entusiasmo il discorso di Biden ieri è tornato a ribadire che «Le condizioni di Israele per porre fine alla guerra non sono cambiate: la distruzione delle capacità militari e di governo di Hamas, la liberazione di tutti gli ostaggi e la garanzia che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele». Condizioni che, ha aggiunto, dovranno essere soddisfatte prima che venga proclamato il cessate il fuoco permanente. Parole che servono anche a placare l’agitazione che regna nel suo governo. I ministri dell’ultradestra Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich sono tornati a minacciare di far cadere il governo se Israele interromperà l’offensiva che ha già fatto oltre 36.379 morti palestinesi. Netanyahu che ha costruito sull’alleanza con l’ultradestra e i partiti religiosi il suo futuro politico non può e non vuole sganciarsi da chi di fatto lo tiene in sella. Certo, potrebbe prendere le distanze da Smotrich e Ben Gvir accettando la «rete di protezione» – una sorta di appoggio esterno – che si dice pronto ad offrirgli il centrista Yair Lapid, leader del partito Yesh Atid, in cambio dell’accordo sugli ostaggi. Ma non si fida, sa che Lapid gli concederebbe pochi mesi ancora al potere e poi sceglierebbe la via delle elezioni anticipate. Accettare o non accettare un cessate il fuoco temporaneo che gli Usa sostengono di poter trasformare in una tregua permanente, è il dilemma che lacera la leadership di Hamas. Quella all’estero lo vuole. Sinwar e Deif invece esitano, non hanno fiducia negli Usa.
Joe Biden ha annunciato un accordo in tre fasi. La prima prevede un cessate il fuoco di sei settimane durante le quali le forze israeliane si ritireranno dai centri abitati di Gaza. 33 ostaggi israeliani verranno scambiati con prigionieri palestinesi. Inoltre, potranno tornare alle loro città e villaggi, anche nella parte settentrionale della Striscia, centinaia di migliaia di sfollati. Il giornale saudita Majalla scrive che per ogni donna soldato, verranno rilasciati 50 detenuti palestinesi, di cui 30 condannati all’ergastoli. Se non ci saranno abbastanza ostaggi vivi per raggiungere le 33 liberazioni nella prima fase, verranno rilasciati i cadaveri degli ostaggi. Nella seconda fase, Hamas e Israele negozierebbero i termini della fine della guerra. La terza prevede un piano di ricostruzione per Gaza e un (vago) piano politico. Netanyahu con ogni probabilità pensa che al termine della prima fase – con l’avvenuta liberazione degli ostaggi più fragili – Israele riprenderà la guerra «per la distruzione totale di Hamas». Uno sbocco che, ovvio, il movimento islamico respinge con forza.
MENTRE LA DIPLOMAZIA procede a passi lenti, a Gaza si continua a morire sotto le bombe israeliane, per le ferite, le malattie e anche di fame. L’esercito israeliano afferma che i valichi di Kerem Shalom e Erez sono aperti al passaggio di aiuti umanitari. La Mezzaluna rossa al contrario denuncia che Kerem Shalom è rimasto chiuso per il secondo giorno consecutivo e che da 48 ore non entra alcun genere di prima necessità via terra. Continua l’offensiva terrestre e aerea su Rafah dove gli abitanti hanno riferito di bombardamenti di aerei e carri armati e di un intenso fuoco di artiglieria a Tel al Sultan e nella parte orientale e centrale della città. Colpito anche il campo profughi di Nusseirat e Zeytoun (Gaza city). Ieri i media egiziani hanno annunciato che oggi si terrà un incontro tra delegazioni di Egitto, Israele e Stati uniti sul valico di Rafah, chiuso da quando è stato occupato dall’esercito israeliano ai primi di maggio. A causa della chiusura, afferma l’ufficio stampa governativo di Gaza, circa 20mila malati e feriti palestinesi, tra cui numerosi bambini, restano in attesa e non possono andare in Egitto e in altri paesi a curarsi.
SI INTENSIFICANO gli scontri a fuoco lungo il confine tra Libano e Israele. Il movimento sciita Hezbollah tiene sotto pressione l’alta Galilea con lanci di razzi e ieri ha abbattuto un drone israeliano Hermes 900 del valore di 5 milioni di dollari. Le forze aeree israeliane hanno colpito più obiettivi in Libano facendo due morti e diversi feriti nelle ultime 48 ore. Tensione alta in Cisgiordania dove proseguono i raid israeliani in varie città. A Balata (Nablus) sono stati feriti tre giovani.
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