Qualche sparo in lontananza e sporadici colpi di artiglieria. Ieri, per la prima volta in più di cinque settimane, gli abitanti di Khartoum hanno goduto di una calma relativa grazie all’inizio, lunedì sera, dei sette giorni di tregua che a Gedda i mediatori statunitensi e sauditi hanno, di fatto, imposto ai delegati dell’Esercito sudanese agli ordini del generale Abdel Fattah El Burhan e a quelli delle Forze di supporto rapido (Rsf) capeggiate da Mohammad Hamdan Dagalo, detto Hemeti. Si spera che la tregua consenta di aprire un negoziato, oltre a permettere agli operatori umanitari di distribuire aiuti essenziali a una popolazione esausta. Centinaia di migliaia di sudanesi sono sfollati o profughi nei paesi vicini, in particolare in Ciad e Sud Sudan.

Reggerà il cessate il fuoco? Lo scetticismo è forte, perché tutte le altre tregue proclamate dopo il 15 aprile, giorno di inizio dei combattimenti, sono state sistematicamente violate. I mediatori invece si dicono cautamente ottimisti. Stavolta, spiegano, i rappresentanti di El Burhan e di Dagalo hanno firmato l’intesa. Inoltre, per monitorare la tregua, è stato istituito un comitato di controllo composto da 12 membri: tre rappresentanti di ciascuna delle parti in guerra, tre degli Stati Uniti e tre dell’Arabia saudita. Fa la voce grossa il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che minaccia le sanzioni. «Abbiamo facilitato il cessate il fuoco, se sarà violato lo sapremo e colpiremo i trasgressori responsabili attraverso sanzioni e altri mezzi», ha avvertito in un videomessaggio diffuso dall’ambasciata statunitense a Khartoum. Gli Usa promettono 245 milioni di dollari in aiuti umanitari al Sudan e agli Stati confinanti che stanno sopportando il peso maggiore della crisi dei rifugiati innescata dal conflitto.

I segnali sono poco confortanti, nonostante la calma che, almeno ieri, ha regnato per ore nella capitale. Dagalo ha lanciato un messaggio bellicoso poche ore prima che l’accordo a Gedda diventasse effettivo, per avvertire che le sue truppe non si sarebbero ritirate «fino a quando non avremo posto fine a questo colpo di stato». Non sono mancate violazioni della tregua proprio Khartoum e dall’altra parte del Nilo, a Bahri e Omdurman. Lunedì sera dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco, ci sono stati due pesanti attacchi aerei a ovest della capitale. L’aviazione governativa da settimane compie raid contro le Rsf che nonostante l’inferiorità aerea mantengono il controllo di una porzione significativa di Khartoum.

Aspri combattimenti si sono svolti lunedì notte intorno all’ospedale militare di Omdurman, con le due parti impegnate a guadagnare terreno prima dell’inizio del cessate il fuoco. Scontri a fuoco sono avvenuti anche ad Al Obeid, nei pressi della base aerea di Wadi Saeedna, usata dalle forze armate regolari, e di un piccolo aeroporto nell’area del Nilo Bianco. Gli operatori umanitari riferiscono di saccheggi a Khartoum e in tutto il paese, insieme alla mancanza di servizi di base, cure mediche, cibo e acqua. Si fanno inoltre insistenti le accuse di violenze sessuali contro donne a Khartoum e nella regione del Darfur occidentale. I miliziani delle Rsf avrebbero saccheggiato a nord della capitale, il New Alban Hospital, dove hanno aggredito il personale sanitario ed espulso i pazienti, e l’ospedale Ahmed Gasim, a Bahri, che poi hanno trasformato in una stazione militare. Le Rsf sono accusate di aver occupato diversi ospedali e di averli trasformati in basi militari. A Khartoum le strutture sanitarie sono impossibilitate ad operare regolarmente, a causa delle frequenti interruzioni di elettricità e della mancanza d’acqua.