Per Aiden Aslin, Shaun Pinner e Saadun Brahim la guerra in Ucraina potrebbe finire davanti a un plotone d’esecuzione. I tre combattenti stranieri arruolati nella legione internazionale ucraina impegnata nella difesa di Mariupol sono stati processati ieri dalle autorità della Repubblica Popolare di Donetsk e giudicati colpevoli di aver intrapreso azioni volte al rovesciamento violento del potere, un reato punibile con la morte nel territorio controllato dai separatisti filo-russi del Donbass.

L’agenzia di stampa russa Ria Novosti ha riferito giovedì che Aslin e Pinner, di nazionalità britannica, e Brahim, marocchino, saranno giustiziati mediante fucilazione se l’appello, per il quale hanno un mese di tempo, dovesse confermare la sentenza.

LA REAZIONE del governo britannico non si è fatta attendere e da Londra si sono detti «profondamente preoccupati». Il portavoce del primo ministro Boris Johnson, Jamie Davies, ha dichiarato che secondo le Convenzioni di Ginevra i prigionieri di guerra hanno diritto all’immunità dei combattenti e «non dovrebbero essere sfruttati per scopi politici».

Davies ha poi aggiunto: «Continueremo a lavorare con le autorità ucraine per garantire il rilascio di tutti i cittadini britannici che hanno prestato servizio nelle forze armate ucraine e che sono detenuti come prigionieri di guerra».

Dall’altro lato del confine, a Kiev, la portavoce del Dipartimento Investigativo Statale ucraino, Tetiana Sapian, ha dichiarato che sono in corso numerose indagini su persone sospettate di collaborare con le forze russe, come riporta l’agenzia di stampa Ukrinform. Dall’inizio della guerra il Dipartimento ha aperto quasi 480 casi di alto tradimento o collaborazionismo.

INTANTO NELL’EST continuano gli scontri per il controllo di Severodonetsk e del Donbass. Ieri il ministro della difesa ucraino Oleksii Reznikov ha scritto sulla sua pagina personale di Facebook che ogni giorno fino a 100 soldati ucraini vengono uccisi nell’area e fino a 500 restano feriti.

«Abbiamo dimostrato di non temere il Cremlino, a differenza di molti altri. Ma noi come Paese non possiamo permetterci di sanguinare, perdendo i nostri migliori figli e figlie», ha scritto Reznikov, aggiungendo che Kiev ha bisogno di armi pesanti, aerei e sistemi di difesa aerea «in tempi rapidi».

Anche il governatore della regione di Lugansk, Segiy Haidai, ha preso parola, dichiarando che il suo territorio subisce bombardamenti «giorno e notte». Tuttavia, le forze di difesa sarebbero ancora in grado di «consegnare forniture umanitarie alla regione attraverso un percorso relativamente sicuro».

HAIDAI ha anche confermato che negli ultimi giorni ci sono stati due attacchi all’impianto chimico dell’Azot, dove al momento sarebbero rifugiate circa 900 persone.

Alla fine, nonostante tutto, sembra che lo scenario più sanguinoso possibile si stia lentamente affermando. Le truppe ucraine stanno dando battaglia «in ogni strada e in ogni casa» e gli scontri hanno ancora esito incerto, sebbene si stia delineando una separazione tra zone orientali e zone occidentali controllate rispettivamente dai russi e dagli ucraini.

Poco dopo Haidai, il presidente Volodymyr Zelensky ha voluto specificare il concetto espresso qualche giorno fa rispetto all’importanza dello scontro in corso. «Il destino del Donbass si decide a Severodonetsk», ha dichiarato il capo di stato, sottolineando che si tratta di «una battaglia molto feroce; forse, una delle più difficili di questa guerra».

STANDO alle dichiarazioni di parte russa, tuttavia, la situazione sarebbe ben più drammatica per Kiev. Il ministro della difesa russo Shoigu ha fatto sapere in una nota che il 97% della regione di Lugansk sarebbe sotto il controllo dei suoi soldati.

Anche se la percentuale sembra sovrastimata, è significativo notare che la strategia mediatica del Cremlino, da almeno due settimane, ha adottato toni più trionfalistici rispetto al Donbass. E questo, bisogna ricordarlo, al netto dell’evidente rallentamento dell’avanzata via terra.

A ogni modo Shoigu ha anche fatto sapere che ben 51 mezzi militari forniti dall’estero agli ucraini sono stati distrutti negli ultimi dieci giorni e che Svjatogorsk, diventata famosa per il rogo divampato in una delle chiese di legno più antiche dell’Ucraina, sarebbe sotto il completo controllo russo, contrariamente a quanto sostengono da Kiev.

Il portavoce del ministero, Igor Konashenkov, ha poi spiegato che l’attacco con missili balistici da crociera alla regione di Zhytomyr (nel quale sono rimaste uccise almeno due persone e altre dieci sono rimaste ferite) avrebbe colpito una base militare ucraina dove presumibilmente venivano addestrati combattenti stranieri. Konashenkov ha aggiunto che i missili russi hanno anche distrutto un deposito di munizioni e un sistema antiaereo in un altro punto dell’Ucraina, senza però specificare dove.

Ad aggiungere un dato alla complessità di tale contesto è intervenuto il ministero della difesa britannico, che ritiene che i russi stiano intensificando l’offensiva a sud di Izyum.

SE CIÒ FOSSE confermato, si paleserebbe ancora una volta che la strategia «a tenaglia» non è ancora stata abbandonata da Mosca. Per i britannici, «le truppe russe mirano a fare pressione su Severodonetsk e ad avanzare in profondità nel Donbass», tuttavia, «le loro unità nell’area non hanno abbastanza personale».

Forse proprio per questo nella regione di Zaporizhzhia i russi avrebbero schierato altri trenta carri armati T-62 nel villaggio di Vasylivka, 35 chilometri circa a sud di Zaporizhzhia.

Anche perché qui sembra che gli ucraini si stiano preparano per qualche azione d’effetto. Secondo il governatore dell’oblast di Mykolayiv, Vitaliy Kim, le armi fornite dall’Occidente stanno aiutando le forze ucraine ed è «solo una questione di tempo» prima che l’Ucraina riconquisti una parte di terreno significativa nel sud.

Inoltre, sempre secondo fonti ucraine, i russi avrebbero tentato un contrattacco sull’asse Kherson-Mikolaiv, a Bila Krynytsia e Lozove, ma sarebbero stati respinti.