Si è conclusa ieri in serata la votazione che ha interessato l’Ordine nazionale degli psicologi italiani chiamato a votare la modifica del proprio codice deontologico. L’esito è stato favorevole con 9.034 per il sì e 7.617 contrari. Nei giorni precedenti due modifiche hanno acceso il dibattito e hanno fatto entrare in allarme una parte degli iscritti, ma anche professionisti che con gli psicologi lavorano tutti i giorni, perché vanno a stravolgere interamente due articoli.

SI TRATTA DELL’ARTICOLO 24, che riguarda il consenso informato sanitario nei confronti di persone adulte capaci, e il 31, sul consenso informato sanitario nei casi di persone minorenni o incapaci. A regolare l’esercizio c’è innanzi tutto la Costituzione che dice all’art 32: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», inoltre «nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata», nel caso si tratti di minorenni o incapaci il consenso è subordinato a chi esercita la responsabilità genitoriale o la tutela. Tutto questo cambierà in direzione di una maggiore libertà per gli psicologi.

Fino ad oggi l’unico caso in cui il consenso informato decade è per il trattamento sanitario obbligatorio (Tso), uno strumento rivolto alla tutela di una persona affetta da malattia mentale, una privazione di libertà tollerata dal nostro ordinamento solo per casi eccezionali e di reale pericolo, regolato in modo stringente dalla legge Basaglia che ha chiuso i manicomi in Italia e con essi la possibilità di abusi. Per emettere un Tso infatti sono necessari due pareri medici, l’ok del sindaco, che pronuncia un’ordinanza, che deve essere convalidata dall’autorità giudiziaria entro 48 ore.

LA MODIFICA PASSATA in votazione riguarda proprio questo aspetto, sarà infatti aggiunto al codice il seguente passaggio: «Nei casi di assenza in tutto o in parte del consenso informato, ove la psicologa e lo psicologo ritengano invece che il trattamento sanitario sia necessario, la decisione è rimessa all’autorità giudiziaria». In pratica un trattamento sanitario – in questo caso psicologico, e non medico – potrà essere segnalato direttamente all’autorità giudiziaria che, pur senza consenso informato, potrà dare il via libera.

«Lo psicologo diventerà una figura lontana da quelli che sono i dettami della nostra figura professionale, accoglienza delle differenze, sostegno nel rispetto delle peculiarità dell’utenza e della professione e libertà di scelta», fa sapere Bruna Rucci psicologa, psicoterapeuta e responsabile di Progetto Medusa. Quello che è in ballo è infatti il libero arbitrio del paziente, ma anche dei genitori o delle figure responsabili, in caso si tratti di minori, che si vedrebbero scavalcati dal parere dello psicologo.

QUESTO È CENTRALE quando si tratta di casi giudiziari, come possono essere separazioni coniugali con minori coinvolti, o casi di violenza domestica in famiglia. «La preoccupazione ancora maggiore riguarda le conseguenze che si avranno in ambito peritale. I consulenti tecnici d’ufficio (Ctu) avranno il potere di imporre qualsiasi trattamento psicologico ai bambini senza il consenso dei genitori. Si tratterebbe di un vero e proprio Tso, e gli individui perderebbero la facoltà di decidere se o meno sottoporsi a psicoterapia o percorsi, perdendo anche il diritto di decidere per i propri figli», conclude Rucci. I Ctu sono infatti gli psicologi nominati dai giudici per svolgere un lavoro di perizia e indagine durante i casi sopracitati.

L’Ordine degli psicologi dalla sua ha spinto per il sì: «Un aggiornamento che facilita il lavoro: basti pensare alla possibilità di articolare il consenso informato in base alle diverse finalità ed ambiti degli interventi psicologici, ad esempio la scuola. Il consenso informato si rende necessario nei soli casi di “trattamenti sanitari” e non per qualsiasi attività professionale». Ed esulta: «Comincia una nuova fase di revisione dinamica, in progress».

NON SOLO I TRIBUNALI, ma anche le scuole saranno coinvolte. Sono infatti sempre di più i centri scolastici che dispongono dell’assistenza psicologica per gli alunni: «Cosa succederà con lo sportello psicologico? Uno psicologo potrà far ricorso direttamente a un giudice se c’è un rifiuto di cure, non rivolgendosi ai genitori e ai servizi sociali? Mi pare una scorciatoia preoccupante», commenta Simona D’Aquilio, avvocata familiarista e consulente legale. «Un pacchetto predisposto per entrare in maniera invasiva nella vita delle famiglie, una tendenza al controllo che non coincide con la prevenzione alla violenza».

Resta da capire come un codice deontologico, mirato a regolare il comportamento dei propri iscritti, possa porsi l’obiettivo di superare le leggi dello Stato, andando in contrasto con esse, e di coinvolgere in questo anche il potere giudiziario. Intanto c’è chi fra i delusi annuncia già il ricorso al Tar.