Tra silenzi e omissioni lo sguardo di Maresco
Venezia 76 Arriva a chiusura del concorso il film del regista siciliano: «La mafia non è più quella di una volta», un grottesco viaggio che va oltre Palermo e restituisce la nostra realtà e le sconfitte politiche. Le polemiche con il Quirinale
Venezia 76 Arriva a chiusura del concorso il film del regista siciliano: «La mafia non è più quella di una volta», un grottesco viaggio che va oltre Palermo e restituisce la nostra realtà e le sconfitte politiche. Le polemiche con il Quirinale
La mafia non è più quella di una volta. Lo provano anche i nuovi protagonisti dell’immaginario mafioso, hi-tech e strafottenti nel lusso cafone di ville abusive, scaltri manipolatori della finanza che copre l’odore arcaico della porcilaia: ma è sempre potere, soldi, controllo cosa è cambiato allora? La narrazione? L’abitudine? Come è possibile che gli eroi della lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino finiscono serigrafati (come un tempo Che Guevara) sulla t-shirt di un giovane aspirante neomelodico un po’ stonato, di voce e di testa, Cristian Miscel, che nell’impresa di cantare si intestardisce fino a impazzire? E pensare che per farsi un nome il suo impresario, Ciccio Mira, gli aveva fatto raccontare di essere stato in coma dopo un incidente e di essersi risvegliato grazie all’apparizione di Falcone e Borsellino che dall’aldilà gli dicevano: «Svegliati e canta». Eppure lui «No alla mafia» non lo direbbe mai, manco se glielo chiedessero Santa Rosalia, Gesù e il Padreterno. Magari che le cose sono cambiate non lo ha capito, ma è un «caso umano» poverino. Però non lo ha capito manco Ciccio Mira che la mafia la conosce da vicino, anche se ora ha avuto la bella idea di organizzare allo Zen 2 un concerto per Falcone e Borsellino. Una mossa strategica? O un altro segno dei tempi? Nemmeno lui «No alla mafia» non lo direbbe mai, ma certo è che là in mezzo lo insultano, lo minacciano, forse il nostro Ciccio non ha trovato il modo di sintonizzarsi nel giusto modo con i tempi, per questo è sempre in bianco e nero, come la fotografia di un lontano passato.
La mafia non è più quella di una volta (in sala il 12 settembre) è il nuovo film di Franco Maresco, il terzo titolo italiano arrivato in chiusura di concorso e sul Lido in tempesta mentre il regista ha scelto di non venire, per chi lo conosce non è una sorpresa vista la sua insofferenza a queste occasioni. Ed è stata subito «polemica», perché quando si parla della trattativa stato-mafia, Maresco fa riferimento criticamente al silenzio del presidente Mattarella. «I veri palermitani non parlano» è il motto di Ciccio Mira, una regola quasi mitologica, che fa risalire a Ulisse. È proprio Ciccio a alludere a un legame tra la sua famiglia e quella del presidente Mattarella.
VERO? FALSO? Il regista ricrea con l’animazione «l’immagine mancante», il padre di Mira votava sempre Bernardo Mattarella, padre del presidente e figura chiave nella democrazia cristiana siciliana, si erano incontrati quando la macchina dei Mira aveva sbattuto contro il muro di casa Mattarella. Il giovane presidente andava al cinema dove lavorava il padre di Mira, amava Ingmar Bergman dice Ciccio che da qualche parte vorrebbe chiedere la grazia per un suo parente in 41bis, tal Tiramisu. Dal Quirinale arriva nel pomeriggio una precisazione:«Il presidente della Repubblica non può commentare i processi e le sentenze della magistratura».
MA NON È QUESTO che cerca il film e sarebbe inopportuno chiuderlo solo qui. Che ci dice invece La mafia non è più quella di una volta (scritto da Maresco insieme a Claudia Uzzo)? Dalla giornata di commemorazione nel maggio 2017 a Palermo di Falcone e Borsellino con gli studenti, i canti e i balli fino al governo giallo-verde -nel frattempo è diventato giallo-rosso ma lo scetticismo (di Maresco) sarebbe lo stesso – come già accadeva nel precedente Belluscone – Una storia siciliana in forma non lineare, anzi apertamente contro gli stereotipi dell’iconografia mafiosa o la retorica dello schema complottista Maresco costruisce una improvvisazione free come il jazz che ama intorno alla percezione della mafia, alla sua storia, ai «vuoti di memoria» del nostro Paese. È un film dolente nella sua irriverenza, in cui il regista però mette a controcampo alla sua disillusione, Letizia Battaglia, palermitana come lui, indomita a più di ottant’anni coi suoi caschetti coloratissimi che nelle sue fotografie ha documentato la mafia, i suoi morti, la sua violenza – pure l’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello del presidente – e della città la miseria e la potenza. Impegnata con la giunta Orlando, attiva in molte iniziative, anche lei è disgustata dalle «celebrazioni» – manca la porchetta dice – ma resiste. «Il film lo faccio perché nel prossimo voglio essere una vecchia puttana» minaccia Maresco, e sono bellissimi i loro duetti, pieni di amore, uno sguardo sul mondo. Lei si incazza quando dal palco dicono di Falcone e Borsellino – «Sono scomparsi» – però non si ferma, continua la sua battaglia, la sua resistenza, è felice quando aprono il Centro per la fotografia e a Maresco che sfotte un po’ risponde male.
LA GEOMETRIA Battaglia-Maresco-Mira restituisce la nostra realtà, quella italiana, del nostro presente che va al di là di Palermo, i cui conflitti riguardano le sconfitte politiche, la sinistra, la distanza dei cittadini. – «Non siamo al Politeama» dice uno dello Zen quando gli parlano di Falcone e Borsellino. C’è l’energia di Letizia ma quello di Maresco è sempre un paesaggio dell’apocalisse, come nei lontani Cinico tv, e se nel film precedente la sfida era «svelare» una storia, qui tutto è già accaduto, la battaglia è perché una «esperienza» come quella di Falcone e Borsellino – ma non solo – non si svuoti di senso, non diventi una celebrazione, un simulacro per coprire l’indifferenza. È un film fortemente politico La mafia non è più quella di una volta come tutti i film di Maresco, che modulano l’ironia con l’accusa e alla grana grossa dell’impegno «precotto» oppongono l’umorismo dell’intelligenza. Ridiamo e siamo chiamati in causa, tutti quanti almeno un po’.
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