Il sì di Hamas alla proposta di accordo di tregua formulata da Egitto e Qatar ha sconvolto i piani di Benyamin Netanyahu. E il movimento islamista palestinese, ostentando flessibilità, ha rovesciato la situazione al tavolo delle trattative che per tre mesi ha visto gli Stati uniti e altri paesi occidentali accusare Hamas di impedire il cessate il fuoco avanzando condizioni inaccettabili per il gabinetto di guerra israeliano. Appena qualche giorno fa il segretario di Stato Blinken andava ripetendo per il Medio oriente che «solo Hamas si frappone tra la tregua e Gaza». La leadership di Hamas ha fatto scacco e ora Netanyahu è costretto a muovere di lato mostrando il suo volto intransigente. In verità, le famiglie degli ostaggi israeliani a Gaza lo hanno costantemente denunciato in questi mesi di manifestazioni a sostegno di uno scambio di prigionieri. E ieri a Tel Aviv hanno scandito slogan per la fine della guerra, l’unica strada, sostengono, per riportare a casa i sequestrati.

Michael Warshansky, analista
È su un terreno minato, ha bisogno dell’estrema destra perché non cada l’esecutivo ma non può andare contro Biden e gli altri alleati arabi
«Netanyahu è un politico abile, sta lottando per la sua sopravvivenza politica e non risparmierà energie per smentire chi lo vede vicino alla fine», spiega l’analista Michael Warshansky. Tuttavia «il primo ministro si muove su di un terreno minato. Ideologicamente è vicino alla destra estrema, di cui peraltro ha bisogno per evitare la caduta del governo e il voto anticipato nei prossimi mesi. Ma non può andare contro l’Amministrazione Biden e gli alleati occidentali e arabi che gli chiedono moderazione e una soluzione politica. I sauditi, ad esempio, hanno detto (nei giorni scorsi, ndr) agli Usa di essere disposti a normalizzare le relazioni con Israele ma non a dimenticare i palestinesi come vorrebbe Netanyahu».

INTANTO LA DESTRA estrema non perde occasione per ricordare al premier che adottare una linea più morbida gli costerebbe la poltrona. «Questo è il momento di stringere il collo al capo di Hamas Sinwar. Non dobbiamo cedere alle pressioni, occorre andare avanti fino alla vittoria», ha esortato di nuovo ieri il ministro delle finanze e leader di Sionismo Religioso, Bezalel Smotrich, secondo cui è stato un errore inviare una delegazione al Cairo per discutere della proposta di accordo accettata da Hamas. Il suo collega della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, nei giorni scorsi senza peli sulla lingua aveva avvertito che «il primo ministro sa bene qual è il prezzo da pagare se non si onora l’impegno (di attaccare anche Rafah)». Ammonimenti ai quali Netanyahu ha risposto ieri riaffermando ancora una volta la linea dura. «L’ingresso a Rafah serve a due principali obiettivi di guerra: il ritorno dei nostri ostaggi e l’eliminazione di Hamas», ha detto, sostenendo che «la proposta di Hamas mirava a silurare l’operazione a Rafah. Non è successo…ho dato istruzioni alla delegazione al Cairo di essere ferma sulle condizioni necessarie per la liberazione dei nostri ostaggi e sui requisiti essenziali per la sicurezza di Israele».

NETANYAHU SA BENE che, tra i vari scenari, rischia anche di essere travolto dal terremoto politico che causerebbe l’uscita dal gabinetto di guerra dei due generali Benny Gantz e Gadi Eisenkot del partito di centrodestra Unione Nazionale. Preferisce correre il rischio e continuare la guerra a Gaza che, comunque, è sempre appoggiata dalla maggioranza degli israeliani, anche quelli che lo criticano per il fallimento del 7 ottobre. Ritiene che la «vittoria» su Hamas che promette da sette mesi all’opinione pubblica sia ciò che gli permetterà di vincere le prossime elezioni.

SECONDO UN RECENTE sondaggio condotto dal quotidiano Maariv, Benny Gantz continua a guidare le intenzioni di voto per la carica di primo ministro. Netanyahu però ha colmato il divario rispetto ai mesi scorsi. È risalito al 37%, Gantz è fermo al 42%. E con il 21% degli intervistati ancora indeciso la partita è aperta.