Tra i narcos di Foggia, dove le famiglie si erano unite per il monopolio sulla coca
L'inchiesta In carcere novanta persone appartenenti alla “Società Foggiana”, la spietata mafia della città pugliese
L'inchiesta In carcere novanta persone appartenenti alla “Società Foggiana”, la spietata mafia della città pugliese
C’era un sistema nel sistema che gestiva il traffico di cocaina come le estorsioni nella “Società Foggiana”, la spietata mafia della città pugliese. «Il nemico numero uno dello stato italiano», l’aveva definita soltanto l’anno scorso l’ex Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho, ora deputato del Movimento Cinque Stelle. Oggi in carcere sono finite quasi novanta persone in quella che è stata definita la più vasta operazione antimafia mai condotta finora nei confronti dei clan locali.
Nelle 2.045 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che reca la firma del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bari, Francesco Vittorio Rinaldi, emerge in particolare che alcuni clan storicamente in lotta tra di loro si erano federati per esercitare tutti insieme la pressione mafiosa in città nel traffico della cocaina. Avevano costituito, cioè, una sorta di monopolio, strutturandosi come un cartello del narcotraffico messicano. Le piazze di spaccio erano controllate militarmente dagli affiliati, per far sì che nemmeno un grammo di cocaina venisse importato da fuori città. Era un giro d’affari pari a 200.000 euro al mese, i cui proventi dovevano restare, centesimo per centesimo, sul territorio.
A spiegare il funzionamento del cartello è un collaboratore di giustizia, Alfonso Capotosto. Così: «A Foggia sta un’imposizione che la droga la dovevi prendere per forza da loro, perché, se tu la prendevi da un’altra parte, ti poteva succedere qualcosa, ti potevano ammazzare, ti potevano… ma questo valeva solo per la cocaina, il fumo era libero…». E ancora, ha raccontato Capotosto: «Praticamente c’era un sistema, costituito dai due gruppi principali, Sinesi- Francavilla e Pellegrino-Moretti. Nessuno al di fuori di queste famiglie poteva acquistare la cocaina per venderla fuori da Foggia».
Un altro pentito, Carlo Verderosa, invece, ha confermato che «potevi essere sparato, picchiato e che quell’equilibrio tra le famiglie ha retto fino al 2015». Quando effettivamente, poi, in città, si è tornato a sparare. Sul selciato, allora, rimasero il corpo di Roberto Tizzano, ucciso, e Roberto Bruno, ferito gravemente. Entrambi esponenti di rilievo della batteria “Moretti-Pellegrino” colpiti il pomeriggio del 29 ottobre 2016, in risposta all’agguato subito da Roberto Sinesi, capo storico dell’altra batteria foggiana, quella dei “Sinesi-Francavilla”.
«Si tratta di una risposta forte dello Stato che conferma ancora una volta l’impegno straordinario degli organismi investigativi per contrastare efficacemente quella rete criminale che attraverso i traffici illeciti e le estorsioni cerca di imporre la sua presenza», ha commentato così l’operazione il ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, aggiungendo che «la lotta alla mafia è e sarà sempre la priorità del nostro governo».
Le mani sul Comune
A Foggia, però, negli ultimi due anni, oltre al traffico di cocaina, è accaduto anche molto altro. Soprattutto sul piano dei condizionamenti mafiosi nella cosa pubblica. Il prossimo 22 e 23 ottobre si vota dopo lo scioglimento del Comune da parte del Viminale, avvenuto un anno e mezzo fa. Nelle 145 pagine della relazione che la locale prefettura aveva inviato al ministero dell’Interno, si legge che «lo spaccato più drammatico della realtà socio criminale dell’area foggiano-garganica è la commistione tra affari criminali e politico-amministrativi». E ancora, nelle carte della prefettura si descrive una mafia che «sa essere insieme rozza e feroce, ma anche affaristicamente moderna, capace di continuare ad uccidere vendicando torti subiti decenni addietro e di porsi come interlocutore e partner di politici e di pubblici amministratori».
Con il solito tempismo ad agosto 2020 un altro ministro dell’interno, Matteo Salvini, aveva salutato con giubilo l’ingresso nel partito della Lega di Franco Landella, fino a due anni fa sindaco di Foggia. Nove mesi dopo quell’investitura l’esponente politico locale era stato messo il 21 maggio del 2021 agli arresti domiciliari, indagato per tentata concussione e corruzione, in un’indagine che aveva visto coinvolti altri sette consiglieri comunali.
L’allora prefetto di Foggia disse che «il numero degli amministratori coinvolti nel procedimento e la sistematicità dell’attività corruttiva evidenziati dagli atti di indagine forniscono un quadro di inquietante rilievo degli interessi privati perseguiti a qualsiasi costo dagli amministratori del comune di Foggia».
Per questo l’eco delle sirene dei blitz di polizia come quello di oggi, non bastano, da sole a combattere le mafie. Come ha spiegato qualche tempo fa Piernicola Silvis, ex questore di Foggia oggi in pensione e scrittore di noir: «Tutte le mafie, ma specialmente quella foggiana dato che è relativamente giovane poiché risale alla metà degli anni ’70, vanno combattute in via preventiva. Non vanno lasciate maturare. E, dunque, non bisogna conviverci. Questo è il compito che spetta in primo luogo alla politica».
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