I tic linguistici sono gli stessi che storicamente vengono attribuiti alla sinistra: è l’alba di un giorno nuovo, ci sono praterie da conquistare e c’è una grande casa da costruire. Solo che stavolta in questa particolare condizione di straniamento ci sono i terzopolisti, che vendono in Elly Schlein un’avanguardia bolscevica e credono che la sua vittoria alle primarie del Pd porterà i cosiddetti riformisti a fuggire a gambe levate.

Quando domenica sera il destino di Bonaccini è apparso segnato, su Twitter le sirene hanno cominciato subito a cantare. Maria Elena Boschi: «Si apre una stagione interessante per i riformisti». Poi si è unita Raffalle Paita a segnalare la (presunta) «esigenza nel paese di una casa per i riformisti più larga, più solida e nettamente alternativa ai populisti».

A seguire il coro si è ingrossato. Carlo Calenda ha ridisegnato la geografia politica italiana: «Pd e M5S su posizioni populiste radicali; Fdi guida la destra; il terzo polo che rappresenta riformisti, liberal democratici (sic) e popolari. Domani partirà un cantiere».

Ettore Rosato, dopo aver riconosciuto a Schlein un ruolo da «rottamatrice come Renzi», ha cantato un requiem per «il Pd riformista», preconizzando anche l’arrivo di Conte che «ha già pronti coltello e forchetta per andare a pasteggiare da quelle parti».

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E mentre Graziano Delrio, intervistato dal Corriere, dice che «ogni scissione è una sciagura» e che però lui di rischi non ne vede (sempre che il Pd non tradisca «la sua ispirazione originaria»), il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che alla vigilia delle primarie aveva detto che qualora avesse vinto Schlein lui avrebbe riflettuto sul da farsi, lega la sua permanenza nel partito al mantenimento della linea sulla guerra in Ucraina, argomento che per la verità non appare esattamente in discussione. Quantomeno non a breve.

L’unico ad aver abbandonato è Beppe Fioroni, non più parlamentare dal 2018: «Il Pd è diventato un partito di sinistra», ha detto con malcelato orrore annunciando la sua nuova creatura, «Piattaforma popolare – Tempi nuovi».

E gli altri? Per ora non danno segnali di apertura, del resto ormai lo hanno capito tutti che le scissioni vanno a finire male: non c’è salvezza fuori dalla Chiesa e, benché ormai da anni nessuno trovi più il coraggio di dirsi entusiasta del Pd, la barca continua a non affondare. Non va nemmeno a gonfie vele, certo, ma elezione dopo elezione, gazebo dopo gazebo, spaccatura dopo spaccatura, gli altri cadono e il partito resta dov’è.

Più che il miraggio di saccheggiare il Pd, però, il cosiddetto terzo polo dovrebbe preoccuparsi delle altre manovre che avvengono al centro.

Proprio ieri Gianfranco Rotondi ha parlato della nascita di una «Balena Bianca 3.0», grazie all’accordo chiuso con l’Udc di Lorenzo Cesa: l’obiettivo finale è di unire tutte le sigle sotto le vecchie insegne della Democrazia Cristiana. Nostalgia. Vanagloria. Ma anche la consapevolezza che lo spazio aperto al centro potrà al massimo servire a salvare per l’ennesima volta un po’ di ceto politico. Più che una prateria, un orticello.